P. Sergio Ucciardo, gesuita
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​Ciclo
Gesù, maestro di vita, nel vangelo di Marco
“E subito lo seguirono”
(cfr. Mc 1,18)
Quello di Marco è il più essenziale dei quattro vangeli. In poche pagine, presenta un Gesù in cammino, che incontra persone, guarisce, incoraggia, aiuta e insegna. Il nostro percorso è costituito da dieci tappe a frequenza settimanale in cui desideriamo seguire il suo itinerario, lasciandoci provocare dalle sue parole, dai suoi gesti e dal suo stile. Ogni tappa diventa un'occasione di crescita: per conoscere meglio noi stessi, per liberarci da ciò che ci blocca, per scegliere e vivere con più libertà e verità.

IMPORTANTE.
L’‘ignazianità’ della preghiera nasce dall’applicazione del metodo elaborato da sant’Ignazio negli Esercizi Spirituali. Non basta, quindi, meditare solo sul testo biblico o leggere le note che lo accompagnano: è fondamentale accogliere e mettere in pratica lo spirito delle varie indicazioni contenute nella scheda. Per questo è importante leggere con attenzione quanto segue.

Scheda settimanale 5/10
"Ebbe compassione di loro"

(cfr. Mc 6,34)
Tema. Responsabilità verso gli altri. Di fronte al bisogno, Gesù non interviene da solo ma chiama in causa i discepoli: così il poco, messo in comune, diventa nutrimento per tutti.

Creo le condizioni
Prima di iniziare, scelgo un posto tranquillo e una posizione del corpo che mi aiutino vivere il momento della preghiera. Creo intorno e dentro di me il silenzio necessario per ascoltare la Parola e lasciarla scendere nel cuore. È opportuno, per esempio, spegnere il cellulare, avvisare in casa del mio momento di preghiera per non essere disturbati, ecc…). 
Scelgo un momento della giornata in cui ho energie e lucidità. Prendo per me 25-30 minuti per attraversare la scheda con lo scopo di ascoltare nella Parola la voce dello Spirito che abita in me. Evito i tempi di stanchezza all'interno della giornata, perché non mi permetterebbero di vivere la preghiera con frutto.
 
Mi metto alla presenza del Signore
Mi metto davanti a Colui che desidero incontrare: il Signore. Lascio che il suo sguardo, il suo amore e il suo abbraccio mi raggiungano affinché mi facciano sentire al mio posto, davanti a Lui. Sosto il tempo necessario perché io colga questa presenza.
 
Mi abbandono al Signore
Chiedo a Dio, nostro Signore, che la mia vita - memoria, pensieri, desideri, decisioni e azioni - sia orientata a Lui e al suo servizio. Domando di poter entrare in questa preghiera con fiducia e disponibilità, affidando a Lui il mio passato, il mio presente e il mio futuro.
Testo principale: Mc 6,30-44
Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po'». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose. Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i suoi discepoli dicendo: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congedali, in modo che, andando per le campagne e i villaggi dei dintorni, possano comprarsi da mangiare». Ma egli rispose loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Gli dissero: «Dobbiamo andare a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?». Ma egli disse loro: «Quanti pani avete? Andate a vedere». Si informarono e dissero: «Cinque, e due pesci». E ordinò loro di farli sedere tutti, a gruppi, sull'erba verde. E sedettero, a gruppi di cento e di cinquanta. Prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero a loro; e divise i due pesci fra tutti. Tutti mangiarono a sazietà, e dei pezzi di pane portarono via dodici ceste piene e quanto restava dei pesci. Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini.
​Immagino la scena
Dopo aver letto una prima volta l’intero testo principale, e se può aiutarmi, lascio che la scena prenda forma in me immaginandola: personaggi, sguardi, parole, gesti, movimenti. Io sono lì, respiro la stessa aria, mi muovo tra i personaggi, partecipo con cuore, mente e corpo, mi sintonizzo con quella scena che ha a che fare con me e con il mio mistero, qui ed ora.
Richiesta di grazia (che orienta tutta la mia preghiera)
Chiedo la grazia di lasciarmi toccare e coinvolgere dalla compassione di Gesù, di imparare a donarmi senza calcoli, assumendo con responsabilità il bisogno dell’altro, nella consapevolezza che proprio in questo movimento di dono si compie la mia identità più profonda.

TESTO BIBLICO PRINCIPALE. Corredato solo da alcuni essenziali spunti e riflessioni per accompagnare la preghiera personale secondo lo spirito di s. Ignazio, il quale ricorda che non è il molto sapere a saziare e soddisfare l’anima, ma il sentire e il gustare interiormente le cose, così che chi prega possa ricavare maggior gusto e frutto spirituale riflettendo e ragionando da solo (cfr. Esercizi Spirituali 2).
Le tre sezioni del brano biblico possono essere meditate in giorni diversi oppure in un unico tempo di preghiera. Tuttavia, anche scegliendone solo una, il metodo proposto nella scheda va seguito integralmente ogni volta che si compie il momento di preghiera.
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Parto dall’inizio del testo biblico e mi lascio fermare da quella parola, frase, concetto o immagine che suscita in me un movimento o una risonanza interiore particolare (per es. pace, serenità, paura, tristezza, ecc...). Se questo accade, significa che quella parte di testo tocca la mia vita presente e concreta: è lì che la Parola, e in particolare, quella precisa porzione di testo, mi vuole dire qualcosa e per questo la prendo in seria considerazione. Mi soffermo finché il movimento/risonanza dura, per “sentire e gustare interiormente” l’esperienza che il testo mi offre. Mentre sto su quel movimento mi chiedo: "cosa mi sta dicendo? Perché ho questa risonanza? A cosa mi sta chiamando?". Non ho fretta di andare avanti: anche se passo tutto il tempo su un solo versetto, su una sola parola o su una sola immagine, la preghiera è pienamente vissuta. 
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Non cedo alla tentazione di scrivere durante la preghiera, per restare interamente presente all’incontro con Dio, che in quel momento mi parla attraverso la sua Parola.
MOLTO IMPORTANTE: La mia preghiera è sulla Parola di Dio, non sul commento (Note), il quale ha soltanto la funzione di provocare, sottolineando alcuni aspetti, e aiutare ad entrare meglio nella Parola stessa. 
 
Mc 6,30-44
1. «Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: “Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’”. Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. Allora partirono sulla barca verso un luogo deserto, in disparte» (Mc 6,30-32).
Note
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L’inizio è un ritorno a casa. I discepoli rientrano dalla missione portando con sé un carico di esperienze, entusiasmi e fatiche. Hanno vissuto giorni intensi, di incontri e di parole donate, di accoglienze e di rifiuti, di miracoli e di limiti. Dentro di loro convivono la gioia di aver annunciato il Regno e la stanchezza di chi si è speso fino in fondo. Gesù non li riempie di istruzioni, non li corregge, non li mette subito alla prova con nuove richieste: li accoglie così come sono e li invita a fermarsi. È un gesto di attenzione profonda, una delicatezza che custodisce la loro umanità. Gesù non considera il riposo una perdita di tempo, ma parte essenziale della missione stessa. Chi serve senza mai fermarsi finisce per logorarsi, per svuotarsi dentro, per trasformare il dono in un dovere e la passione in un peso. Il riposo non è fuga, ma fedeltà: è il tempo in cui ciò che si è donato viene riconsegnato al cuore, perché torni a essere sorgente e non fatica. Gesù invita i discepoli a “venire in disparte” con Lui. Il riposo, in questa prospettiva, non è solo recupero fisico, ma momento spirituale: un ritrovarsi insieme a Lui, per ritrovare se stessi. È uno spazio di riconciliazione interiore, di ascolto e di ricarica del cuore. Fermarsi significa tornare a sentire, a respirare, a guardare la vita senza la frenesia del fare. È in quel silenzio che si ricompongono le frammentazioni, che la missione ritrova senso, che l’anima si riaccende. Anche nei ritmi frenetici delle nostre giornate, abbiamo bisogno di questo “venire in disparte”: non per isolarci dal mondo, ma per rientrare in noi stesse, per ascoltare la voce di Dio che spesso si perde nel rumore. Eppure anche il riposo è fragile. Basta poco, un imprevisto, un bisogno improvviso, e il tempo che sembrava custodito si spezza. Le urgenze non attendono, la realtà irrompe sempre. E proprio in quella fragilità si rivela la verità della vita: nessuna quiete è assoluta, nessuna pace è garantita. È lì che si misura la maturità spirituale, nel modo in cui si accoglie l’interruzione. A volte il riposo deve cedere il passo all’amore, altre volte l’amore stesso si custodisce proprio nel restare fermi. È una tensione viva, che attraversa la vita di ogni persona: il desiderio legittimo di prendermi cura di me e la chiamata a lasciarmi disturbare dall’urgenza dell’altro. Non è mai una scelta semplice né automatica, ma un continuo discernimento tra due fedeltà che non si escludono, bensì si richiamano. Nella logica ignaziana, questo è precisamente il luogo del discernimento: imparare a riconoscere dove lo Spirito conduce in quel momento concreto, quando proteggere il proprio tempo per restare centrati e quando invece rompere i propri piani per accogliere l’irruzione del bisogno dell’altro, senza smarrire il centro. È una scuola di libertà, perché solo chi è centrato può davvero lasciarsi toccare; solo chi sa riposare può servire senza perdersi. Come insegna la spiritualità ignaziana, si tratta di “cercare e trovare Dio in tutte le cose”, anche nei passaggi in cui il ritmo che avevamo sognato si infrange. Il vero equilibrio spirituale nasce qui: nel saper tenere insieme il raccoglimento e il dono, la quiete e la responsabilità, la cura di sé e la dedizione all’altro. Quando il cuore dimora in Dio, anche le interruzioni diventano parte della preghiera, e il riposo si trasforma in un’altra forma d’amore.
  • Sto nella scena biblica e mi chiedo: quale interruzione oggi potrebbe essere per me una chiamata, e non solo un fastidio?
2. «Sceso dalla barca, vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose. Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i suoi discepoli dicendo: “Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congedali, in modo che, andando per le campagne e i villaggi vicini, possano comprarsi da mangiare”. Ma egli rispose loro: “Voi stessi date loro da mangiare”» (Mc 6,34-37a).
Note
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Lo sguardo di Gesù sa davvero soffermarsi sulle persone, non passa oltre come quello di chi vive distratto e ripiegato su di sé. È uno sguardo che abita, che si lascia toccare, che non resta neutrale. In quello sguardo c’è la sintesi di tutta la sua missione: vedere e lasciarsi commuovere. La compassione non è un sentimento vago o un impulso momentaneo. In greco, splanchnízomai, significa essere scossi nelle viscere, sentire la sofferenza dell’altro come propria. È un movimento che nasce dal profondo, dove si custodisce la vita, e per questo spinge ad agire. Gesù vede smarrimento e fame, vede un persone disorientate come pecore senza pastore, e non si volta dall’altra parte. La sua compassione diventa iniziativa: insegna, perché la parola è il primo nutrimento, la luce che orienta chi ha perso la direzione. Ma la fame che Gesù incontra non è solo spirituale. È fame vera, concreta, quotidiana. E proprio qui avviene il passaggio decisivo. I discepoli, spaventati dalla misura enorme del bisogno, vorrebbero rimandare la folla, scaricare il problema. Gesù invece li spiazza: “Voi stessi date loro da mangiare”. È un invito che cambia tutto. Non si tratta più di guardare da spettatori, ma di diventare parte della soluzione. Gesù non opera da solo: coinvolge i discepoli, li rende corresponsabili del miracolo. È un Dio che non agisce al posto nostro, ma con noi. In questo invito c’è la pedagogia più radicale del Vangelo: Dio non sostituisce la nostra libertà, la risveglia. Nella logica ignaziana, questo passaggio è la soglia tra la contemplazione e l’azione, tra la preghiera e la decisione. È il momento in cui la fede si fa operativa, quando la preghiera smette di essere evasione e diventa risposta concreta al bisogno che ci interpella. “Voi stessi” è la chiamata a un discernimento incarnato: riconoscere in quale modo, con le risorse che abbiamo, possiamo diventare segno della compassione di Dio nel mondo. È la “contemplazione nell’azione” di cui parla Ignazio: cercare Dio non fuori dal reale, ma nel gesto che cura, nel pane che si spezza, nella responsabilità del bene di chi si ha davanti a sé. Dare da mangiare, allora, non è solo un compito materiale: è un movimento interiore, una scelta spirituale. Significa lasciarsi ferire dal bisogno dell’altro e rispondervi non per dovere, ma per amore. È scoprire che l’amore, per essere vero, deve diventare pane condiviso, gesto concreto, coinvolgimento reale. In quel “voi stessi” c’è la rivoluzione "semplice" del Vangelo: Dio non si manifesta in potenza, ma nella collaborazione tra le sue mani e le nostre, tra la sua compassione e la nostra disponibilità. È in questo intreccio che la fede diventa viva, e la vita si trasforma in luogo di rivelazione.
  • Sto nella scena biblica e mi chiedo: quale fame oggi mi chiama a smettere di osservare e iniziare a dare di me stesso?
3. «Allora prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero; e divise i due pesci fra tutti. Mangiarono tutti a sazietà, e dei pezzi di pane e di pesce portarono via dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini» (Mc 6,41-44).
Note
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Il gesto di Gesù è di una semplicità disarmante: prende, benedice, spezza, distribuisce. È la sequenza essenziale di ogni dono. Non c’è nulla di spettacolare, nulla di miracoloso nel senso magico del termine, eppure in quei gesti quotidiani si concentra la logica del Vangelo. Gesù prende ciò che c’è, non ciò che manca. Non attende condizioni ideali, non si lamenta della scarsità. Quel poco diventa il punto di partenza di un processo di fiducia e di trasformazione. La benedizione non è una formula sacra, ma un atto di riconoscimento: sollevare al cielo ciò che si ha, per vederlo alla luce di Dio. È come se Gesù dicesse che nulla è troppo piccolo per essere condiviso, che ogni frammento può diventare nutrimento se smette di restare chiuso in sé. La moltiplicazione non riguarda solo la quantità, ma un cambiamento di sguardo e di cuore: dal trattenere al condividere, dalla paura dell’insufficienza alla fede nella sovrabbondanza di Dio. È il passaggio interiore più difficile e più liberante: smettere di contare ciò che manca e cominciare a fidarsi di ciò che c’è. L’abbondanza non nasce dal possesso, ma dalla comunione. Il numero dodici che raccoglie i cesti avanzati evoca la totalità del popolo di Dio: segno che la logica del Regno non esclude nessuno, ma crea una mensa aperta, in cui tutti trovano posto e tutti hanno di che vivere. “Alzare gli occhi al cielo” è il gesto che trasforma la realtà: non significa evadere dalla terra, ma riconoscere che ciò che possediamo non ci appartiene. È dono ricevuto da restituire, grazia che diventa compito. Nella logica ignaziana, questo è il movimento del Principio e Fondamento: tutto è stato creato perché attraverso di esso possiamo lodare, riverire e servire Dio. Anche il pane, anche il tempo, anche le nostre energie e risorse. Quando ciò che abbiamo viene restituito a questa consapevolezza, smette di essere possesso e diventa missione. La sazietà è il segno di una comunità che ha imparato a condividere. L’abbondanza vera nasce da qui: dalla disponibilità a spezzarsi e a farsi pane per altri, come Gesù stesso farà nell’ultima cena e sulla croce. In questo gesto si racchiude l’intera dinamica eucaristica della vita: prendere ciò che si è, offrirlo, spezzarlo, donarlo. È la via della maturità spirituale, la rivoluzione vera del Vangelo: comprendere che solo ciò che si dona resta, solo ciò che si spezza nutre, solo ciò che passa attraverso le mani di Dio diventa fecondo. 
  • Sto nella scena biblica e mi chiedo: qual è il poco che oggi posso benedire e condividere (tempo, energie, talenti, ecc.), fiducioso che Dio lo renderà fecondo?
Il Colloquio: "Termino (la meditazione) immaginando Cristo, nostro Signore, davanti a me" (dagli Esercizi Spirituali)
Il punto più alto di tutta la meditazione è quello di parlare e dialogare direttamente con Gesù. Quindi...

...metto ora da parte la Scrittura e parlo con Lui, a tu per tu, come “un amico parla a un altro amico”. Riprendo, "secondo quello che sentirò in me", ciò che è nato in questa preghiera: sentimenti, ricordi, nuove consapevolezze, desideri, grazie ricevute o da chiedere, cioè riprendo ciò che ho vissuto mentre dialogavo con la sua Parola. Porto nel colloquio con Dio anche la mia esperienza della “Richiesta di grazia” che ha orientato tutta la preghiera e che ho fatto all'inizio di questo tempo di preghiera: mi sento di averne ora maggiore chiarezza? Non ne ho fatto particolare esperienza in questo tempo? In generale mi chiedo davanti a Lui: “Con questo momento di preghiera, con questo passo biblico, a cosa sento che Dio mi chiami?”. Porto questa chiamata concreta davanti a Lui, presentando la mia disponibilità o la mia fatica, e chiedendo la grazia di viverla nella vita di ogni giorno.
Preghiera conclusiva
Recito con gratitudine un Padre nostro oppure un’altra preghiera che in questo momento esprima meglio il mio dialogo con il Signore.

 Rilettura della preghiera (da fare per iscritto)
Terminato l’esercizio, mi concedo un momento di pausa prima di rileggere interiormente ciò che è accaduto nella preghiera.
Seduto o camminando, dedico ancora qualche minuto a verificare “come è andata”: se ho seguito il metodo, quali frutti spirituali ho ricevuto, quali intuizioni o inviti al cambiamento sono emersi riguardo al mio modo di parlare, agli atteggiamenti verso me stesso e verso gli altri, alle decisioni da prendere e agli ambiti concreti in cui agire. Quali appelli la Parola ha provocato in me? L’esperienza vissuta è un dono di Dio attraverso la sua Parola e comporta per me una responsabilità: ora che ho riconosciuto i punti su cui è necessario che io lavori e che mi servono per un passo verso la vita piena, ne sono custode e responsabile. Sapendo che la vita cresce e si trasforma con decisioni reali e non solo con buone intenzioni, annoto i punti principali su un foglio come piste operative da attuare nella giornata e nel prossimo periodo. Per tale motivo è utile tenere con sé un “Diario di bordo” per l’intero percorso. 

Un ulteriore brano su cui sostare nel corso della settimana
Nei giorni successivi, può servire come spunto per approfondire e ampliare il tema specifico proposto in questa scheda, applicando sempre lo stesso schema di preghiera usato per il testo principale (anche se con un commento specifico meno ampio).
 

Mc 12,41-44. L’obolo della vedova
  • Gesù si ferma e osserva: non guarda solo le mani, ma il cuore di chi dona. In mezzo a tanti gesti appariscenti, nota il più piccolo, quello di una vedova con due monete quasi senza valore. È il suo sguardo a dare dignità a ciò che il mondo non vede. Nella prospettiva ignaziana, è la logica del “tutto in poco”: non importa quanto faccio, ma quanto di me ci metto.
    Che cosa continuo a difendere e trattenere, invece di giocarmelo fino in fondo nella vita?
  • Gesù non lascia che il gesto passi inosservato: chiama i discepoli e li educa a un altro modo di vedere. Il “più” non è questione di quantità: vale non ciò che offro in apparenza, ma ciò che scelgo di perdere davvero. La vedova dà tutto, e in questo sguardo Gesù rivela che il valore non è determinato dalla quantità, ma dalla libertà interiore. È la libertà che decide se un gesto è autentico o solo apparenza. Ignazio direbbe: il vero bene è quello che nasce da un cuore libero, non da un calcolo. È questa libertà che trasforma anche il gesto più piccolo in dono grande.
    La qualità di ciò che dono, oggi, riflette davvero ciò che sono?
  • La vedova non trattiene nulla: affida tutto a Dio, senza calcoli e senza riserve. È il gesto di chi riconosce che la vita stessa è un dono ricevuto e che proprio per questo può essere restituita. Nella prospettiva ignaziana, è l’atteggiamento di una libertà interiore che non si lascia possedere dalle cose, ma sceglie di orientarle verso ciò che conta davvero. È una resa fiduciosa che non nasce dalla rassegnazione, ma dalla certezza che affidarsi a Dio non impoverisce, ma apre alla vita piena.
    In quale scelta concreta posso oggi passare dal dare del superfluo al donare me stesso?
Nota ignaziana
Per la spiritualità ignaziana, il dono non si misura dalla quantità ma dalla libertà con cui viene fatto. La vedova del Vangelo non offre ciò che le avanza, ma consegna tutto: è un gesto che manifesta una fiducia radicale, la stessa che gli Esercizi Spirituali intendono far crescere. Ignazio invita a riconoscere ciò che ci trattiene e ciò che ci rende liberi: il cuore non si libera accumulando, ma lasciando andare. In questo senso, il gesto della vedova diventa paradigma di un atteggiamento interiore: vivere sapendo che la vita è ricevuta e che, proprio perché dono, può essere restituita. Per Ignazio, la vera libertà nasce quando smettiamo di calcolare e impariamo a vedere ciò che nutre davvero, anche se appare piccolo agli occhi del mondo. È questa la logica che permette di leggere la propria esistenza come luogo di offerta quotidiana, capace di trasformare perfino la povertà in spazio di incontro con Dio.

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