Ciclo
Gesù, maestro di vita, nel vangelo di Marco
“E subito lo seguirono”
(cfr. Mc 1,18)
Quello di Marco è il più essenziale dei quattro vangeli. In poche pagine, presenta un Gesù in cammino, che incontra persone, guarisce, incoraggia, aiuta e insegna. Il nostro percorso è costituito da dieci tappe a frequenza settimanale in cui desideriamo seguire il suo itinerario, lasciandoci provocare dalle sue parole, dai suoi gesti e dal suo stile. Ogni tappa diventa un'occasione di crescita: per conoscere meglio noi stessi, per liberarci da ciò che ci blocca, per scegliere e vivere con più libertà e verità.
IMPORTANTE.
L’‘ignazianità’ della preghiera nasce dall’applicazione del metodo elaborato da sant’Ignazio negli Esercizi Spirituali. Non basta, quindi, meditare solo sul testo biblico o leggere le note che lo accompagnano: è fondamentale accogliere e mettere in pratica lo spirito delle varie indicazioni contenute nella scheda. Per questo è importante leggere con attenzione quanto segue.
L’‘ignazianità’ della preghiera nasce dall’applicazione del metodo elaborato da sant’Ignazio negli Esercizi Spirituali. Non basta, quindi, meditare solo sul testo biblico o leggere le note che lo accompagnano: è fondamentale accogliere e mettere in pratica lo spirito delle varie indicazioni contenute nella scheda. Per questo è importante leggere con attenzione quanto segue.
Scheda settimanale 6/10
"Ma voi, chi dite che io sia?"
(cfr. Mc 8,29)
"Ma voi, chi dite che io sia?"
(cfr. Mc 8,29)
Tema. Lasciati sorprendere da chi è davvero Gesù, soprattutto quando scompiglia le tue idee su Dio e ti conduce per vie che non avevi immaginato. Accogli la possibilità che l’immagine di Dio che hai costruito finora non sia definitiva, ma solo l’inizio di una scoperta più profonda.
Creo le condizioni
Prima di iniziare, scelgo un posto tranquillo e una posizione del corpo che mi aiutino vivere il momento della preghiera. Creo intorno e dentro di me il silenzio necessario per ascoltare la Parola e lasciarla scendere nel cuore. È opportuno, per esempio, spegnere il cellulare, avvisare in casa del mio momento di preghiera per non essere disturbati, ecc…). Scelgo un momento della giornata in cui ho energie e lucidità. Prendo per me 25-30 minuti per attraversare la scheda con lo scopo di ascoltare nella Parola la voce dello Spirito che abita in me. Evito i tempi di stanchezza all'interno della giornata, perché non mi permetterebbero di vivere la preghiera con frutto.
Mi metto alla presenza del Signore
Mi metto davanti a Colui che desidero incontrare: il Signore. Lascio che il suo sguardo, il suo amore e il suo abbraccio mi raggiungano affinché mi facciano sentire al mio posto, davanti a Lui. Sosto il tempo necessario perché io colga questa presenza.
Mi abbandono al Signore
Chiedo a Dio, nostro Signore, che la mia vita - memoria, pensieri, desideri, decisioni e azioni - sia orientata a Lui e al suo servizio. Domando di poter entrare in questa preghiera con fiducia e disponibilità, affidando a Lui il mio passato, il mio presente e il mio futuro.
Prima di iniziare, scelgo un posto tranquillo e una posizione del corpo che mi aiutino vivere il momento della preghiera. Creo intorno e dentro di me il silenzio necessario per ascoltare la Parola e lasciarla scendere nel cuore. È opportuno, per esempio, spegnere il cellulare, avvisare in casa del mio momento di preghiera per non essere disturbati, ecc…). Scelgo un momento della giornata in cui ho energie e lucidità. Prendo per me 25-30 minuti per attraversare la scheda con lo scopo di ascoltare nella Parola la voce dello Spirito che abita in me. Evito i tempi di stanchezza all'interno della giornata, perché non mi permetterebbero di vivere la preghiera con frutto.
Mi metto alla presenza del Signore
Mi metto davanti a Colui che desidero incontrare: il Signore. Lascio che il suo sguardo, il suo amore e il suo abbraccio mi raggiungano affinché mi facciano sentire al mio posto, davanti a Lui. Sosto il tempo necessario perché io colga questa presenza.
Mi abbandono al Signore
Chiedo a Dio, nostro Signore, che la mia vita - memoria, pensieri, desideri, decisioni e azioni - sia orientata a Lui e al suo servizio. Domando di poter entrare in questa preghiera con fiducia e disponibilità, affidando a Lui il mio passato, il mio presente e il mio futuro.
Testo principale: Mc 8,27-33
Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti». Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.
E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va' dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
Immagino la scena
Dopo aver letto una prima volta l’intero testo principale, e se può aiutarmi, lascio che la scena prenda forma in me immaginandola: personaggi, sguardi, parole, gesti, movimenti. Io sono lì, respiro la stessa aria, mi muovo tra i personaggi, partecipo con cuore, mente e corpo, mi sintonizzo con quella scena che ha a che fare con me e con il mio mistero, qui ed ora.
Dopo aver letto una prima volta l’intero testo principale, e se può aiutarmi, lascio che la scena prenda forma in me immaginandola: personaggi, sguardi, parole, gesti, movimenti. Io sono lì, respiro la stessa aria, mi muovo tra i personaggi, partecipo con cuore, mente e corpo, mi sintonizzo con quella scena che ha a che fare con me e con il mio mistero, qui ed ora.
Richiesta di grazia (che orienta tutta la mia preghiera)
Chiedo la grazia di riconoscere chi è Gesù per me oggi e di seguirlo accogliendo la sua via, anche quando è diversa dalle mie attese.
Chiedo la grazia di riconoscere chi è Gesù per me oggi e di seguirlo accogliendo la sua via, anche quando è diversa dalle mie attese.
TESTO BIBLICO PRINCIPALE. Corredato solo da alcuni essenziali spunti e riflessioni per accompagnare la preghiera personale secondo lo spirito di s. Ignazio, il quale ricorda che non è il molto sapere a saziare e soddisfare l’anima, ma il sentire e il gustare interiormente le cose, così che chi prega possa ricavare maggior gusto e frutto spirituale riflettendo e ragionando da solo (cfr. Esercizi Spirituali 2).
Le tre sezioni del brano biblico possono essere meditate in giorni diversi oppure in un unico tempo di preghiera. Tuttavia, anche scegliendone solo una, il metodo proposto nella scheda va seguito integralmente ogni volta che si compie il momento di preghiera.
Parto dall’inizio del testo biblico e mi lascio fermare da quella parola, frase, concetto o immagine che suscita in me un movimento o una risonanza interiore particolare (per es. pace, serenità, paura, tristezza, ecc...). Se questo accade, significa che quella parte di testo tocca la mia vita presente e concreta: è lì che la Parola, e in particolare, quella precisa porzione di testo, mi vuole dire qualcosa e per questo la prendo in seria considerazione. Mi soffermo finché il movimento/risonanza dura, per “sentire e gustare interiormente” l’esperienza che il testo mi offre. Mentre sto su quel movimento mi chiedo: "cosa mi sta dicendo? Perché ho questa risonanza? A cosa mi sta chiamando?". Non ho fretta di andare avanti: anche se passo tutto il tempo su un solo versetto, su una sola parola o su una sola immagine, la preghiera è pienamente vissuta.
Non cedo alla tentazione di scrivere durante la preghiera, per restare interamente presente all’incontro con Dio, che in quel momento mi parla attraverso la sua Parola.
MOLTO IMPORTANTE: La mia preghiera è sulla Parola di Dio, non sul commento, il quale ha soltanto la funzione di provocare, sottolineando alcuni aspetti, e aiutare ad entrare meglio nella Parola stessa.
Parto dall’inizio del testo biblico e mi lascio fermare da quella parola, frase, concetto o immagine che suscita in me un movimento o una risonanza interiore particolare (per es. pace, serenità, paura, tristezza, ecc...). Se questo accade, significa che quella parte di testo tocca la mia vita presente e concreta: è lì che la Parola, e in particolare, quella precisa porzione di testo, mi vuole dire qualcosa e per questo la prendo in seria considerazione. Mi soffermo finché il movimento/risonanza dura, per “sentire e gustare interiormente” l’esperienza che il testo mi offre. Mentre sto su quel movimento mi chiedo: "cosa mi sta dicendo? Perché ho questa risonanza? A cosa mi sta chiamando?". Non ho fretta di andare avanti: anche se passo tutto il tempo su un solo versetto, su una sola parola o su una sola immagine, la preghiera è pienamente vissuta.
Non cedo alla tentazione di scrivere durante la preghiera, per restare interamente presente all’incontro con Dio, che in quel momento mi parla attraverso la sua Parola.
MOLTO IMPORTANTE: La mia preghiera è sulla Parola di Dio, non sul commento, il quale ha soltanto la funzione di provocare, sottolineando alcuni aspetti, e aiutare ad entrare meglio nella Parola stessa.
Mc 8,27-33
1. «Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo; e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: “La gente, chi dice che io sia?”. Ed essi gli risposero: “Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti”» (Mc 8,27-28).
Note
Gesù pone la domanda “per la strada”, lontano da ogni contesto religioso. Questo è un dettaglio che contiene un messaggio profondo: la verità su Dio non si svela nei luoghi separati dalla vita, ma dentro la vita stessa, nel cammino quotidiano, tra la polvere, la stanchezza e le parole che nascono lungo il percorso. La strada è lo spazio della realtà, dove si intrecciano domande e incontri, dove le convinzioni vengono messe alla prova e ciò che si crede deve misurarsi con ciò che si vive. È lì, nel concreto dell’esistenza, che Gesù chiede: “Chi dice la gente che io sia?”. Le risposte dei discepoli sono sincere: “Giovanni il Battista, Elia, uno dei profeti”. In queste parole c’è ammirazione, riconoscimento, ma manca ancora la profondità dell’incontro. Gesù viene identificato come un uomo di Dio, ma non ancora come il Figlio, come il Messia. È una conoscenza esterna, che si fonda sull’opinione pubblica, sulle voci che circolano. È facile restare qui, anche oggi: parlare di Gesù per quello che si è sentito dire, per ciò che si conosce a livello culturale o religioso, senza lasciarlo davvero entrare nella propria vita attraverso l'adesione alla sua Parola. Anche a me può capitare di vivere una fede “per sentito dire”, costruita su racconti, formule o abitudini, senza mettermi in gioco fino in fondo. È più semplice restare sulla soglia, dove non si rischia nulla e dove la relazione con Dio non tocca ancora la profondità del cuore. Ma la domanda di Gesù chiede di andare oltre, di fare un passo in più, di passare dall’ascolto esterno alla conoscenza intima. Nella prospettiva ignaziana, questo è il momento in cui avviene un passaggio decisivo: dal semplice sapere di Dio all’esperienza viva del conoscere Dio intimamente. È il passaggio da un Dio pensato o raccontato a un Dio incontrato. È ciò che accade quando la fede smette di essere un discorso e diventa esperienza, quando il nome di Gesù non rimane solo una parola, ma diventa realtà viva dentro la mia storia. Perché conoscere davvero, nel senso biblico e ignaziano, significa lasciarsi toccare, entrare in una relazione viva, concreta, che trasforma il modo di vedere e di scegliere. Questo passaggio richiede silenzio interiore, ascolto profondo e il coraggio di lasciarsi scomodare. Perché incontrare Dio non è mai un’esperienza neutra: svela, interroga, sposta, cambia. Senza questa disponibilità, la fede resta un’eco di parole pronunciate da altri. Ma quando si accetta di lasciarsi interrogare sulla propria strada, allora il cammino stesso diventa luogo di rivelazione, e il volto di Gesù smette di essere un’idea per diventare una presenza che accompagna, parla e illumina la vita.
Gesù pone la domanda “per la strada”, lontano da ogni contesto religioso. Questo è un dettaglio che contiene un messaggio profondo: la verità su Dio non si svela nei luoghi separati dalla vita, ma dentro la vita stessa, nel cammino quotidiano, tra la polvere, la stanchezza e le parole che nascono lungo il percorso. La strada è lo spazio della realtà, dove si intrecciano domande e incontri, dove le convinzioni vengono messe alla prova e ciò che si crede deve misurarsi con ciò che si vive. È lì, nel concreto dell’esistenza, che Gesù chiede: “Chi dice la gente che io sia?”. Le risposte dei discepoli sono sincere: “Giovanni il Battista, Elia, uno dei profeti”. In queste parole c’è ammirazione, riconoscimento, ma manca ancora la profondità dell’incontro. Gesù viene identificato come un uomo di Dio, ma non ancora come il Figlio, come il Messia. È una conoscenza esterna, che si fonda sull’opinione pubblica, sulle voci che circolano. È facile restare qui, anche oggi: parlare di Gesù per quello che si è sentito dire, per ciò che si conosce a livello culturale o religioso, senza lasciarlo davvero entrare nella propria vita attraverso l'adesione alla sua Parola. Anche a me può capitare di vivere una fede “per sentito dire”, costruita su racconti, formule o abitudini, senza mettermi in gioco fino in fondo. È più semplice restare sulla soglia, dove non si rischia nulla e dove la relazione con Dio non tocca ancora la profondità del cuore. Ma la domanda di Gesù chiede di andare oltre, di fare un passo in più, di passare dall’ascolto esterno alla conoscenza intima. Nella prospettiva ignaziana, questo è il momento in cui avviene un passaggio decisivo: dal semplice sapere di Dio all’esperienza viva del conoscere Dio intimamente. È il passaggio da un Dio pensato o raccontato a un Dio incontrato. È ciò che accade quando la fede smette di essere un discorso e diventa esperienza, quando il nome di Gesù non rimane solo una parola, ma diventa realtà viva dentro la mia storia. Perché conoscere davvero, nel senso biblico e ignaziano, significa lasciarsi toccare, entrare in una relazione viva, concreta, che trasforma il modo di vedere e di scegliere. Questo passaggio richiede silenzio interiore, ascolto profondo e il coraggio di lasciarsi scomodare. Perché incontrare Dio non è mai un’esperienza neutra: svela, interroga, sposta, cambia. Senza questa disponibilità, la fede resta un’eco di parole pronunciate da altri. Ma quando si accetta di lasciarsi interrogare sulla propria strada, allora il cammino stesso diventa luogo di rivelazione, e il volto di Gesù smette di essere un’idea per diventare una presenza che accompagna, parla e illumina la vita.
- Sto nella scena biblica e mi chiedo: quali immagini preconfezionate di Gesù oggi mi impediscono di riconoscerlo vivo nella mia storia concreta?
2. «Ed egli domandava loro: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Pietro gli rispose: “Tu sei il Cristo”» (Mc 8,29).
Note
Qui la domanda si fa personale: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Dopo aver ascoltato le opinioni della gente, Gesù sposta lo sguardo sui suoi e chiede qualcosa di più profondo. È un passaggio delicato, quasi impercettibile, ma decisivo: non si tratta più di riferire cosa si dice in giro, ma di esporsi, di parlare a partire da sé. È la svolta in cui la fede smette di essere ripetizione e diventa scelta. Non basta più dire cosa penso di Gesù, devo dire cosa rappresenta per me. Pietro prende la parola e dice: “Tu sei il Cristo”. È la risposta giusta, quella che riconosce in Gesù il Messia, l’inviato di Dio. Eppure Gesù non si ferma alla correttezza teologica della frase. Non sta cercando una definizione, ma un’adesione vitale. È possibile dire parole vere e tuttavia restare lontani dalla loro verità concreta, pronunciare formule esatte ma senza che tocchino la carne della vita. Dire “Tu sei il Cristo” non è un atto intellettuale: è accettare che Gesù diventi il centro e la misura della propria esistenza, che la sua logica di amore e di dono orienti desideri, scelte, relazioni. Negli Esercizi ignaziani, questo momento corrisponde a un discernimento radicale: chi voglio che stia al timone della mia vita? A chi affido la direzione dei miei passi, dei miei affetti, delle mie decisioni? Dire “Tu sei il Cristo” significa consegnare la propria libertà perché sia trasformata, scegliere non solo di credere in Gesù, ma di seguirlo nella concretezza quotidiana. È il punto in cui la fede diventa sequela, e la sequela diventa forma di vita. Pietro non lo sa ancora, ma quelle tre parole lo condurranno lontano: lo porteranno a conoscere la paura, il tradimento, la fragilità, ma anche la possibilità di ricominciare. La sua confessione non gli consegna certezza, lo apre invece a un cammino che dovrà continuamente imparare. Così accade anche a noi: ogni volta che pronunciamo “Tu sei il Cristo”, non affermiamo un possesso, ma rinnoviamo una fiducia. È una parola che non si dice una volta per tutte, ma si impara nel tempo, attraversando fedeltà e cadute. In fondo, Gesù non chiede di saper rispondere, ma di lasciarsi coinvolgere. La sua domanda non misura la conoscenza, ma la disponibilità. È l’invito a lasciarlo diventare il centro vivo da cui tutto parte: le relazioni, le fatiche, i desideri, il futuro. Dire “Tu sei il Cristo” è accettare che la mia vita non mi appartenga più interamente, perché ha trovato in Lui il suo punto di gravità.
Qui la domanda si fa personale: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Dopo aver ascoltato le opinioni della gente, Gesù sposta lo sguardo sui suoi e chiede qualcosa di più profondo. È un passaggio delicato, quasi impercettibile, ma decisivo: non si tratta più di riferire cosa si dice in giro, ma di esporsi, di parlare a partire da sé. È la svolta in cui la fede smette di essere ripetizione e diventa scelta. Non basta più dire cosa penso di Gesù, devo dire cosa rappresenta per me. Pietro prende la parola e dice: “Tu sei il Cristo”. È la risposta giusta, quella che riconosce in Gesù il Messia, l’inviato di Dio. Eppure Gesù non si ferma alla correttezza teologica della frase. Non sta cercando una definizione, ma un’adesione vitale. È possibile dire parole vere e tuttavia restare lontani dalla loro verità concreta, pronunciare formule esatte ma senza che tocchino la carne della vita. Dire “Tu sei il Cristo” non è un atto intellettuale: è accettare che Gesù diventi il centro e la misura della propria esistenza, che la sua logica di amore e di dono orienti desideri, scelte, relazioni. Negli Esercizi ignaziani, questo momento corrisponde a un discernimento radicale: chi voglio che stia al timone della mia vita? A chi affido la direzione dei miei passi, dei miei affetti, delle mie decisioni? Dire “Tu sei il Cristo” significa consegnare la propria libertà perché sia trasformata, scegliere non solo di credere in Gesù, ma di seguirlo nella concretezza quotidiana. È il punto in cui la fede diventa sequela, e la sequela diventa forma di vita. Pietro non lo sa ancora, ma quelle tre parole lo condurranno lontano: lo porteranno a conoscere la paura, il tradimento, la fragilità, ma anche la possibilità di ricominciare. La sua confessione non gli consegna certezza, lo apre invece a un cammino che dovrà continuamente imparare. Così accade anche a noi: ogni volta che pronunciamo “Tu sei il Cristo”, non affermiamo un possesso, ma rinnoviamo una fiducia. È una parola che non si dice una volta per tutte, ma si impara nel tempo, attraversando fedeltà e cadute. In fondo, Gesù non chiede di saper rispondere, ma di lasciarsi coinvolgere. La sua domanda non misura la conoscenza, ma la disponibilità. È l’invito a lasciarlo diventare il centro vivo da cui tutto parte: le relazioni, le fatiche, i desideri, il futuro. Dire “Tu sei il Cristo” è accettare che la mia vita non mi appartenga più interamente, perché ha trovato in Lui il suo punto di gravità.
- Sto nella scena biblica e mi chiedo: come posso oggi far sì che il mio “Tu sei il Cristo” diventi scelta viva, incarnata nei gesti e nelle decisioni di questa giornata?
3. «E ordinò loro severamente di non parlare di lui a nessuno. E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: “Va’ dietro a me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”» (Mc 8,30-33).
Note
Gesù non lascia che la risposta di Pietro resti sospesa nell’entusiasmo. Subito dopo la sua professione di fede, egli precisa che cosa significhi davvero essere il Cristo: “Il Figlio dell’uomo deve molto soffrire, essere rifiutato, venire ucciso e dopo tre giorni risorgere”. Parole che spiazzano, che vanno contro l’immagine trionfale di un Messia potente. Pietro non riesce ad accettarle: lo prende in disparte e comincia a rimproverarlo. È un gesto umano, quasi affettuoso, ma anche profondamente rivelatore. Pietro vuole bene a Gesù, ma non tollera un Dio che perda, che si lasci ferire, che scelga la via fragile dell’amore che sperimenta la croce e il fallimento. Egli sogna un Messia che vinca senza attraversare la sconfitta, che costruisca il Regno evitando la vulnerabilità. Gesù però si volta, guarda i discepoli e pronuncia parole durissime: “Va’ dietro a me, Satana! Tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”. Non è un insulto, ma una chiamata a rimettere ordine: Pietro, per il suo affetto, ha tentato di “precedere” il Maestro, di suggerirgli un’altra strada. Ma Gesù lo richiama al suo posto: non davanti, a indicare la via, ma dietro, a seguirla. “Va’ dietro a me” è un invito a ritrovare il senso della sequela, che non consiste nel capire tutto, ma nel fidarsi di Colui che guida. Anch’io, come Pietro, spesso vorrei un Dio che confermi i miei progetti, che realizzi il bene senza far passare nulla attraverso la fatica, la perdita, l’incertezza. Vorrei un Dio che risolva invece di chiedere di scegliere, che spieghi invece di educare alla fiducia. Ma Gesù non si lascia piegare alle mie aspettative. Egli rivela un Dio che salva non con la forza, ma con l’amore, e che entra nel dolore non per esaltarlo, ma per redimerlo. Nella spiritualità ignaziana, questo è il punto in cui il discernimento diventa esercizio quotidiano: riconoscere quando la mia “premura per Dio” nasconde in realtà il desiderio di controllarlo, di adattarlo ai miei criteri. Pensare “secondo Dio” significa lasciare che il suo modo di amare mi disorienti, che la sua logica di perdita (e dono) mi sposti dal centro. È un addestramento interiore che passa attraverso la disponibilità a lasciarsi condurre, anche quando la via non appare sensata. Accettare la croce, accettare il fallimento, allora, non è rassegnarsi alla sofferenza, ma accogliere la fiducia che proprio lì si rivela un amore più grande di ogni calcolo umano. È credere che la vita passa anche attraverso la perdita, e che la sequela di Cristo non toglie la paura, ma la trasforma in fiducia. Pietro dovrà impararlo lentamente, tra errori e lacrime, ma anche noi, come lui, siamo chiamati a scoprire che la via di Dio non è quella del dominio, bensì quella della relazione, del dono, dell’amore che salva perché si consegna.
Gesù non lascia che la risposta di Pietro resti sospesa nell’entusiasmo. Subito dopo la sua professione di fede, egli precisa che cosa significhi davvero essere il Cristo: “Il Figlio dell’uomo deve molto soffrire, essere rifiutato, venire ucciso e dopo tre giorni risorgere”. Parole che spiazzano, che vanno contro l’immagine trionfale di un Messia potente. Pietro non riesce ad accettarle: lo prende in disparte e comincia a rimproverarlo. È un gesto umano, quasi affettuoso, ma anche profondamente rivelatore. Pietro vuole bene a Gesù, ma non tollera un Dio che perda, che si lasci ferire, che scelga la via fragile dell’amore che sperimenta la croce e il fallimento. Egli sogna un Messia che vinca senza attraversare la sconfitta, che costruisca il Regno evitando la vulnerabilità. Gesù però si volta, guarda i discepoli e pronuncia parole durissime: “Va’ dietro a me, Satana! Tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”. Non è un insulto, ma una chiamata a rimettere ordine: Pietro, per il suo affetto, ha tentato di “precedere” il Maestro, di suggerirgli un’altra strada. Ma Gesù lo richiama al suo posto: non davanti, a indicare la via, ma dietro, a seguirla. “Va’ dietro a me” è un invito a ritrovare il senso della sequela, che non consiste nel capire tutto, ma nel fidarsi di Colui che guida. Anch’io, come Pietro, spesso vorrei un Dio che confermi i miei progetti, che realizzi il bene senza far passare nulla attraverso la fatica, la perdita, l’incertezza. Vorrei un Dio che risolva invece di chiedere di scegliere, che spieghi invece di educare alla fiducia. Ma Gesù non si lascia piegare alle mie aspettative. Egli rivela un Dio che salva non con la forza, ma con l’amore, e che entra nel dolore non per esaltarlo, ma per redimerlo. Nella spiritualità ignaziana, questo è il punto in cui il discernimento diventa esercizio quotidiano: riconoscere quando la mia “premura per Dio” nasconde in realtà il desiderio di controllarlo, di adattarlo ai miei criteri. Pensare “secondo Dio” significa lasciare che il suo modo di amare mi disorienti, che la sua logica di perdita (e dono) mi sposti dal centro. È un addestramento interiore che passa attraverso la disponibilità a lasciarsi condurre, anche quando la via non appare sensata. Accettare la croce, accettare il fallimento, allora, non è rassegnarsi alla sofferenza, ma accogliere la fiducia che proprio lì si rivela un amore più grande di ogni calcolo umano. È credere che la vita passa anche attraverso la perdita, e che la sequela di Cristo non toglie la paura, ma la trasforma in fiducia. Pietro dovrà impararlo lentamente, tra errori e lacrime, ma anche noi, come lui, siamo chiamati a scoprire che la via di Dio non è quella del dominio, bensì quella della relazione, del dono, dell’amore che salva perché si consegna.
- Sto nella scena biblica e mi chiedo: quale mia idea di Dio oggi Gesù vuole abbattere perché io possa seguirlo libero e senza condizioni?
Il Colloquio: "Termino (la meditazione) immaginando Cristo, nostro Signore, davanti a me" (dagli Esercizi Spirituali)
Il punto più alto di tutta la meditazione è quello di parlare e dialogare direttamente con Gesù. Quindi...
...metto ora da parte la Scrittura e parlo con Lui, a tu per tu, come “un amico parla a un altro amico”. Riprendo, "secondo quello che sentirò in me", ciò che è nato in questa preghiera: sentimenti, ricordi, nuove consapevolezze, desideri, grazie ricevute o da chiedere, cioè riprendo ciò che ho vissuto mentre dialogavo con la sua Parola. Porto nel colloquio con Dio anche la mia esperienza della “Richiesta di grazia” che ha orientato tutta la preghiera e che ho fatto all'inizio di questo tempo di preghiera: mi sento di averne ora maggiore chiarezza? Non ne ho fatto particolare esperienza in questo tempo? In generale mi chiedo davanti a Lui: “Con questo momento di preghiera, con questo passo biblico, a cosa sento che Dio mi chiami?”. Porto questa chiamata concreta davanti a Lui, presentando la mia disponibilità o la mia fatica, e chiedendo la grazia di viverla nella vita di ogni giorno.
Il punto più alto di tutta la meditazione è quello di parlare e dialogare direttamente con Gesù. Quindi...
...metto ora da parte la Scrittura e parlo con Lui, a tu per tu, come “un amico parla a un altro amico”. Riprendo, "secondo quello che sentirò in me", ciò che è nato in questa preghiera: sentimenti, ricordi, nuove consapevolezze, desideri, grazie ricevute o da chiedere, cioè riprendo ciò che ho vissuto mentre dialogavo con la sua Parola. Porto nel colloquio con Dio anche la mia esperienza della “Richiesta di grazia” che ha orientato tutta la preghiera e che ho fatto all'inizio di questo tempo di preghiera: mi sento di averne ora maggiore chiarezza? Non ne ho fatto particolare esperienza in questo tempo? In generale mi chiedo davanti a Lui: “Con questo momento di preghiera, con questo passo biblico, a cosa sento che Dio mi chiami?”. Porto questa chiamata concreta davanti a Lui, presentando la mia disponibilità o la mia fatica, e chiedendo la grazia di viverla nella vita di ogni giorno.
Preghiera conclusiva
Recito con gratitudine un Padre nostro oppure un’altra preghiera che in questo momento esprima meglio il mio dialogo con il Signore.
Recito con gratitudine un Padre nostro oppure un’altra preghiera che in questo momento esprima meglio il mio dialogo con il Signore.
Rilettura della preghiera (da fare per iscritto)
Terminato l’esercizio, mi concedo un momento di pausa prima di rileggere interiormente ciò che è accaduto nella preghiera.
Seduto o camminando, dedico ancora qualche minuto a verificare “come è andata”: se ho seguito il metodo, quali frutti spirituali ho ricevuto, quali intuizioni o inviti al cambiamento sono emersi riguardo al mio modo di parlare, agli atteggiamenti verso me stesso e verso gli altri, alle decisioni da prendere e agli ambiti concreti in cui agire. Quali appelli la Parola ha provocato in me? L’esperienza vissuta è un dono di Dio attraverso la sua Parola e comporta per me una responsabilità: ora che ho riconosciuto i punti su cui è necessario che io lavori e che mi servono per un passo verso la vita piena, ne sono custode e responsabile. Sapendo che la vita cresce e si trasforma con decisioni reali e non solo con buone intenzioni, annoto i punti principali su un foglio come piste operative da attuare nella giornata e nel prossimo periodo. Per tale motivo è utile tenere con sé un “Diario di bordo” per l’intero percorso.
Terminato l’esercizio, mi concedo un momento di pausa prima di rileggere interiormente ciò che è accaduto nella preghiera.
Seduto o camminando, dedico ancora qualche minuto a verificare “come è andata”: se ho seguito il metodo, quali frutti spirituali ho ricevuto, quali intuizioni o inviti al cambiamento sono emersi riguardo al mio modo di parlare, agli atteggiamenti verso me stesso e verso gli altri, alle decisioni da prendere e agli ambiti concreti in cui agire. Quali appelli la Parola ha provocato in me? L’esperienza vissuta è un dono di Dio attraverso la sua Parola e comporta per me una responsabilità: ora che ho riconosciuto i punti su cui è necessario che io lavori e che mi servono per un passo verso la vita piena, ne sono custode e responsabile. Sapendo che la vita cresce e si trasforma con decisioni reali e non solo con buone intenzioni, annoto i punti principali su un foglio come piste operative da attuare nella giornata e nel prossimo periodo. Per tale motivo è utile tenere con sé un “Diario di bordo” per l’intero percorso.
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Un ulteriore brano su cui sostare nel corso della settimana
Nei giorni successivi, può servire come spunto per approfondire e ampliare il tema specifico proposto in questa scheda, applicando sempre lo stesso schema di preghiera usato per il testo principale (anche se con un commento specifico meno ampio). Mc 9,2-8. Quando la luce ti obbliga a cambiare sguardo
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