Ciclo
Gesù, maestro di vita, nel vangelo di Marco
“E subito lo seguirono”
(cfr. Mc 1,18)
Quello di Marco è il più essenziale dei quattro vangeli. In poche pagine, presenta un Gesù in cammino, che incontra persone, guarisce, incoraggia, aiuta e insegna. Il nostro percorso è costituito da dieci tappe a frequenza settimanale in cui desideriamo seguire il suo itinerario, lasciandoci provocare dalle sue parole, dai suoi gesti e dal suo stile. Ogni tappa diventa un'occasione di crescita: per conoscere meglio noi stessi, per liberarci da ciò che ci blocca, per scegliere e vivere con più libertà e verità.
IMPORTANTE.
L’‘ignazianità’ della preghiera nasce dall’applicazione del metodo elaborato da sant’Ignazio negli Esercizi Spirituali. Non basta, quindi, meditare solo sul testo biblico o leggere le note che lo accompagnano: è fondamentale accogliere e mettere in pratica lo spirito delle varie indicazioni contenute nella scheda. Per questo è importante leggere con attenzione quanto segue.
L’‘ignazianità’ della preghiera nasce dall’applicazione del metodo elaborato da sant’Ignazio negli Esercizi Spirituali. Non basta, quindi, meditare solo sul testo biblico o leggere le note che lo accompagnano: è fondamentale accogliere e mettere in pratica lo spirito delle varie indicazioni contenute nella scheda. Per questo è importante leggere con attenzione quanto segue.
Scheda settimanale 7/10
"Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo"
(cfr. Mc 9,35)
"Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo"
(cfr. Mc 9,35)
Tema. Il desiderio di grandezza trova la sua via nell’umiltà: accogliere l’altro, farsi ultimo, servire. È qui che la vita si apre a una misura più grande di sé.
Creo le condizioni
Prima di iniziare, scelgo un posto tranquillo e una posizione del corpo che mi aiutino vivere il momento della preghiera. Creo intorno e dentro di me il silenzio necessario per ascoltare la Parola e lasciarla scendere nel cuore. È opportuno, per esempio, spegnere il cellulare, avvisare in casa del mio momento di preghiera per non essere disturbati, ecc…). Scelgo un momento della giornata in cui ho energie e lucidità. Prendo per me 25-30 minuti per attraversare la scheda con lo scopo di ascoltare nella Parola la voce dello Spirito che abita in me. Evito i tempi di stanchezza all'interno della giornata, perché non mi permetterebbero di vivere la preghiera con frutto.
Mi metto alla presenza del Signore
Mi metto davanti a Colui che desidero incontrare: il Signore. Lascio che il suo sguardo, il suo amore e il suo abbraccio mi raggiungano affinché mi facciano sentire al mio posto, davanti a Lui. Sosto il tempo necessario perché io colga questa presenza.
Mi abbandono al Signore
Chiedo a Dio, nostro Signore, che la mia vita - memoria, pensieri, desideri, decisioni e azioni - sia orientata a Lui e al suo servizio. Domando di poter entrare in questa preghiera con fiducia e disponibilità, affidando a Lui il mio passato, il mio presente e il mio futuro.
Prima di iniziare, scelgo un posto tranquillo e una posizione del corpo che mi aiutino vivere il momento della preghiera. Creo intorno e dentro di me il silenzio necessario per ascoltare la Parola e lasciarla scendere nel cuore. È opportuno, per esempio, spegnere il cellulare, avvisare in casa del mio momento di preghiera per non essere disturbati, ecc…). Scelgo un momento della giornata in cui ho energie e lucidità. Prendo per me 25-30 minuti per attraversare la scheda con lo scopo di ascoltare nella Parola la voce dello Spirito che abita in me. Evito i tempi di stanchezza all'interno della giornata, perché non mi permetterebbero di vivere la preghiera con frutto.
Mi metto alla presenza del Signore
Mi metto davanti a Colui che desidero incontrare: il Signore. Lascio che il suo sguardo, il suo amore e il suo abbraccio mi raggiungano affinché mi facciano sentire al mio posto, davanti a Lui. Sosto il tempo necessario perché io colga questa presenza.
Mi abbandono al Signore
Chiedo a Dio, nostro Signore, che la mia vita - memoria, pensieri, desideri, decisioni e azioni - sia orientata a Lui e al suo servizio. Domando di poter entrare in questa preghiera con fiducia e disponibilità, affidando a Lui il mio passato, il mio presente e il mio futuro.
Testo principale: Mc 9,33-37
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
Immagino la scena
Dopo aver letto una prima volta l’intero testo principale, e se può aiutarmi, lascio che la scena prenda forma in me immaginandola: personaggi, sguardi, parole, gesti, movimenti. Io sono lì, respiro la stessa aria, mi muovo tra i personaggi, partecipo con cuore, mente e corpo, mi sintonizzo con quella scena che ha a che fare con me e con il mio mistero, qui ed ora.
Dopo aver letto una prima volta l’intero testo principale, e se può aiutarmi, lascio che la scena prenda forma in me immaginandola: personaggi, sguardi, parole, gesti, movimenti. Io sono lì, respiro la stessa aria, mi muovo tra i personaggi, partecipo con cuore, mente e corpo, mi sintonizzo con quella scena che ha a che fare con me e con il mio mistero, qui ed ora.
Richiesta di grazia (che orienta tutta la mia preghiera)
Chiedo la grazia di lasciarmi liberare dalla logica della competizione e del potere, per accogliere la via di Gesù: farmi piccolo, mettermi all’ultimo posto e servire con cuore libero, trovando in questo la vera grandezza.
Chiedo la grazia di lasciarmi liberare dalla logica della competizione e del potere, per accogliere la via di Gesù: farmi piccolo, mettermi all’ultimo posto e servire con cuore libero, trovando in questo la vera grandezza.
TESTO BIBLICO PRINCIPALE. Corredato solo da alcuni essenziali spunti e riflessioni per accompagnare la preghiera personale secondo lo spirito di s. Ignazio, il quale ricorda che non è il molto sapere a saziare e soddisfare l’anima, ma il sentire e il gustare interiormente le cose, così che chi prega possa ricavare maggior gusto e frutto spirituale riflettendo e ragionando da solo (cfr. Esercizi Spirituali 2).
Le tre sezioni del brano biblico possono essere meditate in giorni diversi oppure in un unico tempo di preghiera. Tuttavia, anche scegliendone solo una, il metodo proposto nella scheda va seguito integralmente ogni volta che si compie il momento di preghiera.
Parto dall’inizio del testo biblico e mi lascio fermare da quella parola, frase, concetto o immagine che suscita in me un movimento o una risonanza interiore particolare (per es. pace, serenità, paura, tristezza, ecc...). Se questo accade, significa che quella parte di testo tocca la mia vita presente e concreta: è lì che la Parola, e in particolare, quella precisa porzione di testo, mi vuole dire qualcosa e per questo la prendo in seria considerazione. Mi soffermo finché il movimento/risonanza dura, per “sentire e gustare interiormente” l’esperienza che il testo mi offre. Mentre sto su quel movimento mi chiedo: "cosa mi sta dicendo? Perché ho questa risonanza? A cosa mi sta chiamando?". Non ho fretta di andare avanti: anche se passo tutto il tempo su un solo versetto, su una sola parola o su una sola immagine, la preghiera è pienamente vissuta.
Non cedo alla tentazione di scrivere durante la preghiera, per restare interamente presente all’incontro con Dio, che in quel momento mi parla attraverso la sua Parola.
MOLTO IMPORTANTE: La mia preghiera è sulla Parola di Dio, non sul commento, il quale ha soltanto la funzione di provocare, sottolineando alcuni aspetti, e aiutare ad entrare meglio nella Parola stessa.
Parto dall’inizio del testo biblico e mi lascio fermare da quella parola, frase, concetto o immagine che suscita in me un movimento o una risonanza interiore particolare (per es. pace, serenità, paura, tristezza, ecc...). Se questo accade, significa che quella parte di testo tocca la mia vita presente e concreta: è lì che la Parola, e in particolare, quella precisa porzione di testo, mi vuole dire qualcosa e per questo la prendo in seria considerazione. Mi soffermo finché il movimento/risonanza dura, per “sentire e gustare interiormente” l’esperienza che il testo mi offre. Mentre sto su quel movimento mi chiedo: "cosa mi sta dicendo? Perché ho questa risonanza? A cosa mi sta chiamando?". Non ho fretta di andare avanti: anche se passo tutto il tempo su un solo versetto, su una sola parola o su una sola immagine, la preghiera è pienamente vissuta.
Non cedo alla tentazione di scrivere durante la preghiera, per restare interamente presente all’incontro con Dio, che in quel momento mi parla attraverso la sua Parola.
MOLTO IMPORTANTE: La mia preghiera è sulla Parola di Dio, non sul commento, il quale ha soltanto la funzione di provocare, sottolineando alcuni aspetti, e aiutare ad entrare meglio nella Parola stessa.
Mc 9,33-37
1. «Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: “Di che cosa stavate discutendo per la strada?”. Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande» (Mc 9,33-34).
Note
Gesù non li interroga per ottenere informazioni, ma per svelare il cuore. La domanda è diretta, semplice, ma profonda: non riguarda solo ciò che si è detto, ma il bisogno che lo ha generato. Cafàrnao è il luogo degli inizi, là dove Gesù aveva chiamato i primi discepoli e dove ora li riporta per misurare la distanza percorsa. “In casa”, che è luogo dell’intimità, della quotidianità, del confronto sincero, il Maestro smaschera la contraddizione tra ciò che i discepoli proclamano e ciò che li abita. Hanno parlato di grandezza mentre Lui annunciava la logica della croce, hanno cercato di primeggiare mentre camminavano dietro a un Dio che si consegna.
"Ed essi tacevano". Il loro silenzio è eloquente: non è solo imbarazzo, è il momento in cui la coscienza si accorge di essere stata raggiunta da una domanda che scuote. È quel tipo di silenzio che attraversa anche noi quando ci accorgiamo che i nostri pensieri non coincidono con ciò che il Vangelo ci consegna. Gesù non li giudica, ma lascia che la domanda agisca, come una piccola ferita che apre alla verità. In questa scena si riflette il dinamismo del discernimento ignaziano: Gesù non impone, ma aiuta a riconoscere. Li riporta dentro di sé, chiede loro di vedere quale desiderio li stava guidando. Anche in noi convivono forze opposte: il desiderio di seguire il Signore e quello di essere riconosciuti; il bisogno di amare e quello di prevalere. La domanda di Gesù è come uno specchio che ci rimette davanti al punto da cui partiamo davvero.
Qui inizia il cammino della libertà: prendere coscienza delle proprie spinte interiori, lasciando che la verità venga alla luce non per condannarci, ma per orientarci. È un passaggio di umiltà e di autenticità, simile a ciò che accade nell’esame di coscienza degli Esercizi, dove chi prega impara a riconoscere i propri movimenti più intimi per scegliere ciò che conduce verso la vita.
Quante volte anche noi, lungo la strada della vita, discutiamo dentro di noi chi sia “più grande”: chi ha più ragione, più valore, più riconoscimento. Forse la voce di Gesù ci raggiunge proprio lì, nel quotidiano, per chiederci non tanto di smettere di desiderare, ma di purificare il desiderio.
Gesù non li interroga per ottenere informazioni, ma per svelare il cuore. La domanda è diretta, semplice, ma profonda: non riguarda solo ciò che si è detto, ma il bisogno che lo ha generato. Cafàrnao è il luogo degli inizi, là dove Gesù aveva chiamato i primi discepoli e dove ora li riporta per misurare la distanza percorsa. “In casa”, che è luogo dell’intimità, della quotidianità, del confronto sincero, il Maestro smaschera la contraddizione tra ciò che i discepoli proclamano e ciò che li abita. Hanno parlato di grandezza mentre Lui annunciava la logica della croce, hanno cercato di primeggiare mentre camminavano dietro a un Dio che si consegna.
"Ed essi tacevano". Il loro silenzio è eloquente: non è solo imbarazzo, è il momento in cui la coscienza si accorge di essere stata raggiunta da una domanda che scuote. È quel tipo di silenzio che attraversa anche noi quando ci accorgiamo che i nostri pensieri non coincidono con ciò che il Vangelo ci consegna. Gesù non li giudica, ma lascia che la domanda agisca, come una piccola ferita che apre alla verità. In questa scena si riflette il dinamismo del discernimento ignaziano: Gesù non impone, ma aiuta a riconoscere. Li riporta dentro di sé, chiede loro di vedere quale desiderio li stava guidando. Anche in noi convivono forze opposte: il desiderio di seguire il Signore e quello di essere riconosciuti; il bisogno di amare e quello di prevalere. La domanda di Gesù è come uno specchio che ci rimette davanti al punto da cui partiamo davvero.
Qui inizia il cammino della libertà: prendere coscienza delle proprie spinte interiori, lasciando che la verità venga alla luce non per condannarci, ma per orientarci. È un passaggio di umiltà e di autenticità, simile a ciò che accade nell’esame di coscienza degli Esercizi, dove chi prega impara a riconoscere i propri movimenti più intimi per scegliere ciò che conduce verso la vita.
Quante volte anche noi, lungo la strada della vita, discutiamo dentro di noi chi sia “più grande”: chi ha più ragione, più valore, più riconoscimento. Forse la voce di Gesù ci raggiunge proprio lì, nel quotidiano, per chiederci non tanto di smettere di desiderare, ma di purificare il desiderio.
- Sto nella scena biblica e mi chiedo: in quale ambito della mia vita sto ancora cercando di essere “più grande” agli occhi degli altri, e non libero davanti a Dio?
2. «Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”» (Mc 9,35).
NoteGesù si siede: è il gesto del maestro che insegna, ma anche di chi si mette al centro per rendere tutto più chiaro e familiare. Dopo il silenzio imbarazzato dei discepoli, la sua parola non è una correzione aspra, ma una rivelazione: mostra un modo nuovo di intendere la grandezza. Non rifiuta il desiderio di essere primi, ma lo converte. È come se dicesse: “Va bene desiderare, ma guarda dove ti porta questo desiderio. Scegli che tipo di ‘primo’ vuoi diventare”. La vera novità non è che qualcuno debba rinunciare a essere grande, ma che la grandezza, per Gesù, ha la forma del servizio. La scena ha un tono domestico: Gesù non impone una dottrina, ma educa a un modo di stare nella vita. “Essere ultimo” non significa annullarsi o farsi calpestare, ma cambiare prospettiva: non misurare più se stessi dal potere che si esercita, ma dall’amore che si dona. È la rivoluzione più radicale che il Vangelo introduce: non quella delle strutture, ma del cuore. Gesù ribalta le priorità dell'uomo, ma senza gridare; lo fa con un gesto di calma autorevolezza, insegnando che il potere vero è amare. In questa logica si radica la libertà ignaziana: la libertà di non essere schiavi del riconoscimento, di non aver bisogno di prime file per sentirsi vivi. Ignazio, nel Principio e Fondamento, invita a “desiderare e scegliere solo ciò che più ci conduce al fine per cui siamo creati”. È la stessa dinamica che Gesù propone ai Dodici: discernere il “più” non nel possedere, ma nel servire, non nel salire, ma nel far salire altri. Solo chi vive così è veramente libero, perché non ha più paura di perdere qualcosa, né di essere invisibile. Essere “servitore di tutti” non significa essere passivi, ma attivi nel bene: è un atto di forza spirituale, di signoria interiore. È scegliere di guidare la vita dal basso, come fa Dio, che non domina ma sostiene. Il “maggiore bene”, nella prospettiva ignaziana, è proprio questo: far fiorire più vita attorno a sé, promuovere l’altro, generare libertà. È il segno che la grandezza del Vangelo non si misura in altezza, ma in profondità.
- Sto nella scena biblica e mi chiedo: quale passo concreto posso fare oggi per scegliere l’ultimo posto non come umiliazione subita, ma come libertà conquistata?
3. «E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: “Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato”» (Mc 9,36-37).
Note
Il gesto di Gesù è sorprendente nella sua semplicità: non parla più, ma agisce. Dopo aver rovesciato la logica del potere con le parole, ora la mostra con un segno. Prende un bambino, la figura più invisibile e priva di potere della società di allora, e lo mette “in mezzo”. Al centro del gruppo, non accanto, non ai margini. È una scena che scardina le gerarchie: Gesù sposta il baricentro della comunità, mettendo al centro quello che il mondo considera senza valore. Quel gesto è un criterio, una conversione dello sguardo: non ci si misura più dalla forza, ma dalla capacità di accogliere la fragilità. Il bambino, nel linguaggio del tempo, rappresenta chi non ha diritti, chi dipende totalmente dagli altri. Gesù lo abbraccia: un gesto che non è solo tenerezza. È come se dicesse ai discepoli: “Volete sapere chi è grande nel Regno? Chi sa farsi spazio per l’altro, chi sa dare posto a chi non ce l’ha”. In quell’abbraccio c’è il volto di Dio, che è Padre, e che non lascia nessuno fuori dal cerchio della vita. Nella visione ignaziana, questo è il momento in cui la contemplazione si fa esperienza interiore. Ignazio, negli Esercizi, invita a chiedere la “conoscenza interna del Signore che per me si è fatto uomo, perché più lo ami e lo segua”. Guardare Gesù che stringe quel bambino è proprio entrare in questa conoscenza: lasciarsi toccare da un amore che abbraccia la piccolezza, fino a farla diventare luogo della presenza di Dio. Lì si impara che Dio non si trova nei segni della forza, ma nel volto di chi non ha potere; non nella grandezza esteriore, ma nella vulnerabilità che apre al dono. Accogliere “uno di questi bambini nel mio nome” significa riconoscere Dio in chi non conta, in chi non può restituire nulla. È un’esperienza di disarmo: accogliere chi è piccolo ci costringe a lasciare cadere le nostre difese, a non difendere più l’immagine di noi stessi. È così che si entra nella logica del Regno: non attraverso la conquista, ma attraverso la comunione. La vera grandezza, agli occhi di Dio, è la capacità di dare il centro a chi il mondo spinge ai margini. È la libertà di non aver bisogno di apparire per poter amare.
Il gesto di Gesù è sorprendente nella sua semplicità: non parla più, ma agisce. Dopo aver rovesciato la logica del potere con le parole, ora la mostra con un segno. Prende un bambino, la figura più invisibile e priva di potere della società di allora, e lo mette “in mezzo”. Al centro del gruppo, non accanto, non ai margini. È una scena che scardina le gerarchie: Gesù sposta il baricentro della comunità, mettendo al centro quello che il mondo considera senza valore. Quel gesto è un criterio, una conversione dello sguardo: non ci si misura più dalla forza, ma dalla capacità di accogliere la fragilità. Il bambino, nel linguaggio del tempo, rappresenta chi non ha diritti, chi dipende totalmente dagli altri. Gesù lo abbraccia: un gesto che non è solo tenerezza. È come se dicesse ai discepoli: “Volete sapere chi è grande nel Regno? Chi sa farsi spazio per l’altro, chi sa dare posto a chi non ce l’ha”. In quell’abbraccio c’è il volto di Dio, che è Padre, e che non lascia nessuno fuori dal cerchio della vita. Nella visione ignaziana, questo è il momento in cui la contemplazione si fa esperienza interiore. Ignazio, negli Esercizi, invita a chiedere la “conoscenza interna del Signore che per me si è fatto uomo, perché più lo ami e lo segua”. Guardare Gesù che stringe quel bambino è proprio entrare in questa conoscenza: lasciarsi toccare da un amore che abbraccia la piccolezza, fino a farla diventare luogo della presenza di Dio. Lì si impara che Dio non si trova nei segni della forza, ma nel volto di chi non ha potere; non nella grandezza esteriore, ma nella vulnerabilità che apre al dono. Accogliere “uno di questi bambini nel mio nome” significa riconoscere Dio in chi non conta, in chi non può restituire nulla. È un’esperienza di disarmo: accogliere chi è piccolo ci costringe a lasciare cadere le nostre difese, a non difendere più l’immagine di noi stessi. È così che si entra nella logica del Regno: non attraverso la conquista, ma attraverso la comunione. La vera grandezza, agli occhi di Dio, è la capacità di dare il centro a chi il mondo spinge ai margini. È la libertà di non aver bisogno di apparire per poter amare.
- Sto nella scena biblica e mi chiedo: chi è oggi il “bambino” che la mia vita tiene ai margini e che il Vangelo mi chiede di mettere al centro?
Il Colloquio: "Termino (la meditazione) immaginando Cristo, nostro Signore, davanti a me" (dagli Esercizi Spirituali)
Il punto più alto di tutta la meditazione è quello di parlare e dialogare direttamente con Gesù. Quindi...
...metto ora da parte la Scrittura e parlo con Lui, a tu per tu, come “un amico parla a un altro amico”. Riprendo, "secondo quello che sentirò in me", ciò che è nato in questa preghiera: sentimenti, ricordi, nuove consapevolezze, desideri, grazie ricevute o da chiedere, cioè riprendo ciò che ho vissuto mentre dialogavo con la sua Parola. Porto nel colloquio con Dio anche la mia esperienza della “Richiesta di grazia” che ha orientato tutta la preghiera e che ho fatto all'inizio di questo tempo di preghiera: mi sento di averne ora maggiore chiarezza? Non ne ho fatto particolare esperienza in questo tempo? In generale mi chiedo davanti a Lui: “Con questo momento di preghiera, con questo passo biblico, a cosa sento che Dio mi chiami?”. Porto questa chiamata concreta davanti a Lui, presentando la mia disponibilità o la mia fatica, e chiedendo la grazia di viverla nella vita di ogni giorno.
Il punto più alto di tutta la meditazione è quello di parlare e dialogare direttamente con Gesù. Quindi...
...metto ora da parte la Scrittura e parlo con Lui, a tu per tu, come “un amico parla a un altro amico”. Riprendo, "secondo quello che sentirò in me", ciò che è nato in questa preghiera: sentimenti, ricordi, nuove consapevolezze, desideri, grazie ricevute o da chiedere, cioè riprendo ciò che ho vissuto mentre dialogavo con la sua Parola. Porto nel colloquio con Dio anche la mia esperienza della “Richiesta di grazia” che ha orientato tutta la preghiera e che ho fatto all'inizio di questo tempo di preghiera: mi sento di averne ora maggiore chiarezza? Non ne ho fatto particolare esperienza in questo tempo? In generale mi chiedo davanti a Lui: “Con questo momento di preghiera, con questo passo biblico, a cosa sento che Dio mi chiami?”. Porto questa chiamata concreta davanti a Lui, presentando la mia disponibilità o la mia fatica, e chiedendo la grazia di viverla nella vita di ogni giorno.
Preghiera conclusiva
Recito con gratitudine un Padre nostro oppure un’altra preghiera che in questo momento esprima meglio il mio dialogo con il Signore.
Recito con gratitudine un Padre nostro oppure un’altra preghiera che in questo momento esprima meglio il mio dialogo con il Signore.
Rilettura della preghiera (da fare per iscritto)
Terminato l’esercizio, mi concedo un momento di pausa prima di rileggere interiormente ciò che è accaduto nella preghiera.
Seduto o camminando, dedico ancora qualche minuto a verificare “come è andata”: se ho seguito il metodo, quali frutti spirituali ho ricevuto, quali intuizioni o inviti al cambiamento sono emersi riguardo al mio modo di parlare, agli atteggiamenti verso me stesso e verso gli altri, alle decisioni da prendere e agli ambiti concreti in cui agire. Quali appelli la Parola ha provocato in me? L’esperienza vissuta è un dono di Dio attraverso la sua Parola e comporta per me una responsabilità: ora che ho riconosciuto i punti su cui è necessario che io lavori e che mi servono per un passo verso la vita piena, ne sono custode e responsabile. Sapendo che la vita cresce e si trasforma con decisioni reali e non solo con buone intenzioni, annoto i punti principali su un foglio come piste operative da attuare nella giornata e nel prossimo periodo. Per tale motivo è utile tenere con sé un “Diario di bordo” per l’intero percorso.
Terminato l’esercizio, mi concedo un momento di pausa prima di rileggere interiormente ciò che è accaduto nella preghiera.
Seduto o camminando, dedico ancora qualche minuto a verificare “come è andata”: se ho seguito il metodo, quali frutti spirituali ho ricevuto, quali intuizioni o inviti al cambiamento sono emersi riguardo al mio modo di parlare, agli atteggiamenti verso me stesso e verso gli altri, alle decisioni da prendere e agli ambiti concreti in cui agire. Quali appelli la Parola ha provocato in me? L’esperienza vissuta è un dono di Dio attraverso la sua Parola e comporta per me una responsabilità: ora che ho riconosciuto i punti su cui è necessario che io lavori e che mi servono per un passo verso la vita piena, ne sono custode e responsabile. Sapendo che la vita cresce e si trasforma con decisioni reali e non solo con buone intenzioni, annoto i punti principali su un foglio come piste operative da attuare nella giornata e nel prossimo periodo. Per tale motivo è utile tenere con sé un “Diario di bordo” per l’intero percorso.
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Un ulteriore brano su cui sostare nel corso della settimana
Nei giorni successivi, può servire come spunto per approfondire e ampliare il tema specifico proposto in questa scheda, applicando sempre lo stesso schema di preghiera usato per il testo principale (anche se con un commento specifico meno ampio). Mc 10,35-45. Il Figlio dell’uomo è venuto per servire
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