Ciclo
Gesù, maestro di vita, nel vangelo di Marco
“E subito lo seguirono”
(cfr. Mc 1,18)
Quello di Marco è il più essenziale dei quattro vangeli. In poche pagine, presenta un Gesù in cammino, che incontra persone, guarisce, incoraggia, aiuta e insegna. Il nostro percorso è costituito da dieci tappe a frequenza settimanale in cui desideriamo seguire il suo itinerario, lasciandoci provocare dalle sue parole, dai suoi gesti e dal suo stile. Ogni tappa diventa un'occasione di crescita: per conoscere meglio noi stessi, per liberarci da ciò che ci blocca, per scegliere e vivere con più libertà e verità.
IMPORTANTE.
L’‘ignazianità’ della preghiera nasce dall’applicazione del metodo elaborato da sant’Ignazio negli Esercizi Spirituali. Non basta, quindi, meditare solo sul testo biblico o leggere le note che lo accompagnano: è fondamentale accogliere e mettere in pratica lo spirito delle varie indicazioni contenute nella scheda. Per questo è importante leggere con attenzione quanto segue.
L’‘ignazianità’ della preghiera nasce dall’applicazione del metodo elaborato da sant’Ignazio negli Esercizi Spirituali. Non basta, quindi, meditare solo sul testo biblico o leggere le note che lo accompagnano: è fondamentale accogliere e mettere in pratica lo spirito delle varie indicazioni contenute nella scheda. Per questo è importante leggere con attenzione quanto segue.
Scheda settimanale 9/10
"Vegliate!"
(cfr. Mc 13,33)
"Vegliate!"
(cfr. Mc 13,33)
Tema. Vegliate! Tenere vivo il cuore è non lasciare che la vita ci scivoli via, pronti a riconoscere il Signore che passa nei momenti inattesi.
Creo le condizioni
Prima di iniziare, scelgo un posto tranquillo e una posizione del corpo che mi aiutino vivere il momento della preghiera. Creo intorno e dentro di me il silenzio necessario per ascoltare la Parola e lasciarla scendere nel cuore. È opportuno, per esempio, spegnere il cellulare, avvisare in casa del mio momento di preghiera per non essere disturbati, ecc…). Scelgo un momento della giornata in cui ho energie e lucidità. Prendo per me 25-30 minuti per attraversare la scheda con lo scopo di ascoltare nella Parola la voce dello Spirito che abita in me. Evito i tempi di stanchezza all'interno della giornata, perché non mi permetterebbero di vivere la preghiera con frutto.
Mi metto alla presenza del Signore
Mi metto davanti a Colui che desidero incontrare: il Signore. Lascio che il suo sguardo, il suo amore e il suo abbraccio mi raggiungano affinché mi facciano sentire al mio posto, davanti a Lui. Sosto il tempo necessario perché io colga questa presenza.
Mi abbandono al Signore
Chiedo a Dio, nostro Signore, che la mia vita - memoria, pensieri, desideri, decisioni e azioni - sia orientata a Lui e al suo servizio. Domando di poter entrare in questa preghiera con fiducia e disponibilità, affidando a Lui il mio passato, il mio presente e il mio futuro.
Prima di iniziare, scelgo un posto tranquillo e una posizione del corpo che mi aiutino vivere il momento della preghiera. Creo intorno e dentro di me il silenzio necessario per ascoltare la Parola e lasciarla scendere nel cuore. È opportuno, per esempio, spegnere il cellulare, avvisare in casa del mio momento di preghiera per non essere disturbati, ecc…). Scelgo un momento della giornata in cui ho energie e lucidità. Prendo per me 25-30 minuti per attraversare la scheda con lo scopo di ascoltare nella Parola la voce dello Spirito che abita in me. Evito i tempi di stanchezza all'interno della giornata, perché non mi permetterebbero di vivere la preghiera con frutto.
Mi metto alla presenza del Signore
Mi metto davanti a Colui che desidero incontrare: il Signore. Lascio che il suo sguardo, il suo amore e il suo abbraccio mi raggiungano affinché mi facciano sentire al mio posto, davanti a Lui. Sosto il tempo necessario perché io colga questa presenza.
Mi abbandono al Signore
Chiedo a Dio, nostro Signore, che la mia vita - memoria, pensieri, desideri, decisioni e azioni - sia orientata a Lui e al suo servizio. Domando di poter entrare in questa preghiera con fiducia e disponibilità, affidando a Lui il mio passato, il mio presente e il mio futuro.
Testo principale: Mc 13,33-37
Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all'improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».
Immagino la scena
Dopo aver letto una prima volta l’intero testo principale, e se può aiutarmi, lascio che la scena prenda forma in me immaginandola: personaggi, sguardi, parole, gesti, movimenti. Io sono lì, respiro la stessa aria, mi muovo tra i personaggi, partecipo con cuore, mente e corpo, mi sintonizzo con quella scena che ha a che fare con me e con il mio mistero, qui ed ora.
Dopo aver letto una prima volta l’intero testo principale, e se può aiutarmi, lascio che la scena prenda forma in me immaginandola: personaggi, sguardi, parole, gesti, movimenti. Io sono lì, respiro la stessa aria, mi muovo tra i personaggi, partecipo con cuore, mente e corpo, mi sintonizzo con quella scena che ha a che fare con me e con il mio mistero, qui ed ora.
Richiesta di grazia (che orienta tutta la mia preghiera)
Chiedo la grazia di avere un cuore desto e vigilante, capace di riconoscere la presenza del Signore nei momenti ordinari e inattesi della mia vita, e di rispondergli senza rimandare.
Chiedo la grazia di avere un cuore desto e vigilante, capace di riconoscere la presenza del Signore nei momenti ordinari e inattesi della mia vita, e di rispondergli senza rimandare.
TESTO BIBLICO PRINCIPALE. Corredato solo da alcuni essenziali spunti e riflessioni per accompagnare la preghiera personale secondo lo spirito di s. Ignazio, il quale ricorda che non è il molto sapere a saziare e soddisfare l’anima, ma il sentire e il gustare interiormente le cose, così che chi prega possa ricavare maggior gusto e frutto spirituale riflettendo e ragionando da solo (cfr. Esercizi Spirituali 2).
Le tre sezioni del brano biblico possono essere meditate in giorni diversi oppure in un unico tempo di preghiera. Tuttavia, anche scegliendone solo una, il metodo proposto nella scheda va seguito integralmente ogni volta che si compie il momento di preghiera.
Parto dall’inizio del testo biblico e mi lascio fermare da quella parola, frase, concetto o immagine che suscita in me un movimento o una risonanza interiore particolare (per es. pace, serenità, paura, tristezza, ecc...). Se questo accade, significa che quella parte di testo tocca la mia vita presente e concreta: è lì che la Parola, e in particolare, quella precisa porzione di testo, mi vuole dire qualcosa e per questo la prendo in seria considerazione. Mi soffermo finché il movimento/risonanza dura, per “sentire e gustare interiormente” l’esperienza che il testo mi offre. Mentre sto su quel movimento mi chiedo: "cosa mi sta dicendo? Perché ho questa risonanza? A cosa mi sta chiamando?". Non ho fretta di andare avanti: anche se passo tutto il tempo su un solo versetto, su una sola parola o su una sola immagine, la preghiera è pienamente vissuta.
Non cedo alla tentazione di scrivere durante la preghiera, per restare interamente presente all’incontro con Dio, che in quel momento mi parla attraverso la sua Parola.
MOLTO IMPORTANTE: La mia preghiera è sulla Parola di Dio, non sul commento, il quale ha soltanto la funzione di provocare, sottolineando alcuni aspetti, e aiutare ad entrare meglio nella Parola stessa.
Parto dall’inizio del testo biblico e mi lascio fermare da quella parola, frase, concetto o immagine che suscita in me un movimento o una risonanza interiore particolare (per es. pace, serenità, paura, tristezza, ecc...). Se questo accade, significa che quella parte di testo tocca la mia vita presente e concreta: è lì che la Parola, e in particolare, quella precisa porzione di testo, mi vuole dire qualcosa e per questo la prendo in seria considerazione. Mi soffermo finché il movimento/risonanza dura, per “sentire e gustare interiormente” l’esperienza che il testo mi offre. Mentre sto su quel movimento mi chiedo: "cosa mi sta dicendo? Perché ho questa risonanza? A cosa mi sta chiamando?". Non ho fretta di andare avanti: anche se passo tutto il tempo su un solo versetto, su una sola parola o su una sola immagine, la preghiera è pienamente vissuta.
Non cedo alla tentazione di scrivere durante la preghiera, per restare interamente presente all’incontro con Dio, che in quel momento mi parla attraverso la sua Parola.
MOLTO IMPORTANTE: La mia preghiera è sulla Parola di Dio, non sul commento, il quale ha soltanto la funzione di provocare, sottolineando alcuni aspetti, e aiutare ad entrare meglio nella Parola stessa.
Mc 13,33-37
1. «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento» (Mc 13,33).
Note
Gesù parla ai discepoli alla vigilia della sua passione, in un tempo in cui l'atmosfera è carica di attesa e di inquietudine. Le sue parole non vogliono spaventare, ma rendere vivi. “Fate attenzione” e “vegliate” non sono comandi di paura, ma inviti alla presenza: a vivere svegli, lucidi, consapevoli. È come se dicesse: non lasciate che la vita vi scorra accanto mentre pensate ad altro, perché ogni istante può essere un luogo d’incontro con Dio. L’attenzione, prima ancora di essere un esercizio della mente, è una forma di amore: chi ama, veglia. Chi ama, non si distrae. Chi ama, resta sveglio anche quando tutto sembra uguale. Il “momento” di cui Gesù parla non è soltanto l’ora finale della storia, ma ogni ora che ci viene donata. Ogni giorno è un piccolo “kairós”, cioè un tempo favorevole in cui Dio può manifestarsi nei segni più umili: un volto, una parola, un silenzio. L’incertezza dell’ora non è una minaccia, ma una pedagogia divina. Ci libera dall’illusione di controllare tutto e ci ricorda che la vita vera si gioca adesso, non altrove. L’imprevisto diventa così lo spazio della grazia: non ciò che rompe i nostri piani, ma ciò che li apre a un Altro. Per la spiritualità ignaziana, questo atteggiamento è il cuore del discernimento. Ignazio invita a “cercare e trovare Dio in tutte le cose”, cioè a vivere con una vigilanza affettiva capace di riconoscere il passaggio dello Spirito nel concreto della vita. Vigilare significa tenere il cuore desto, non addormentato nelle abitudini o nelle preoccupazioni. È un modo di stare nel mondo con sensibilità spirituale, come chi si allena a cogliere la voce di Dio dentro le cose ordinarie. Vegliare, allora, non è attendere un evento lontano, ma imparare a leggere ciò che accade. È non lasciare che la stanchezza, la distrazione o l’anestesia interiore ci rendano ciechi alla presenza del Signore. La vigilanza evangelica non produce ansia, ma pace: è la serenità di chi vive con gli occhi aperti e il cuore desto, sapendo che ogni istante può essere visita di Dio.
Gesù parla ai discepoli alla vigilia della sua passione, in un tempo in cui l'atmosfera è carica di attesa e di inquietudine. Le sue parole non vogliono spaventare, ma rendere vivi. “Fate attenzione” e “vegliate” non sono comandi di paura, ma inviti alla presenza: a vivere svegli, lucidi, consapevoli. È come se dicesse: non lasciate che la vita vi scorra accanto mentre pensate ad altro, perché ogni istante può essere un luogo d’incontro con Dio. L’attenzione, prima ancora di essere un esercizio della mente, è una forma di amore: chi ama, veglia. Chi ama, non si distrae. Chi ama, resta sveglio anche quando tutto sembra uguale. Il “momento” di cui Gesù parla non è soltanto l’ora finale della storia, ma ogni ora che ci viene donata. Ogni giorno è un piccolo “kairós”, cioè un tempo favorevole in cui Dio può manifestarsi nei segni più umili: un volto, una parola, un silenzio. L’incertezza dell’ora non è una minaccia, ma una pedagogia divina. Ci libera dall’illusione di controllare tutto e ci ricorda che la vita vera si gioca adesso, non altrove. L’imprevisto diventa così lo spazio della grazia: non ciò che rompe i nostri piani, ma ciò che li apre a un Altro. Per la spiritualità ignaziana, questo atteggiamento è il cuore del discernimento. Ignazio invita a “cercare e trovare Dio in tutte le cose”, cioè a vivere con una vigilanza affettiva capace di riconoscere il passaggio dello Spirito nel concreto della vita. Vigilare significa tenere il cuore desto, non addormentato nelle abitudini o nelle preoccupazioni. È un modo di stare nel mondo con sensibilità spirituale, come chi si allena a cogliere la voce di Dio dentro le cose ordinarie. Vegliare, allora, non è attendere un evento lontano, ma imparare a leggere ciò che accade. È non lasciare che la stanchezza, la distrazione o l’anestesia interiore ci rendano ciechi alla presenza del Signore. La vigilanza evangelica non produce ansia, ma pace: è la serenità di chi vive con gli occhi aperti e il cuore desto, sapendo che ogni istante può essere visita di Dio.
- Sto nella scena biblica e mi chiedo: dove oggi sto vivendo come se il momento dell’incontro fosse lontano, e quindi posso permettermi di non esserci davvero?
2. «È come un uomo che, partendo per un viaggio, lascia la propria casa e dà il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ordina al portiere di vegliare» (Mc 13,34).
Note
Gesù descrive un padrone che parte senza timore e senza trattenere nulla. Affida la sua casa, distribuisce compiti, consegna potere e responsabilità. Non installa sistemi di controllo, non lascia ordini rigidi, non pretende garanzie: si fida. È un’immagine sorprendente di Dio, che non domina ma affida, che non sorveglia ma si consegna alla libertà dell’uomo. Questo gesto, apparentemente rischioso, rivela la stima che Dio ha per noi: Egli crede che possiamo custodire la vita, i fratelli, il mondo. È la fiducia del Creatore che affida la sua creazione a mani umane, perché diventi luogo di fecondità e non di paura. Il padrone che parte non è assente: la sua distanza è lo spazio della nostra libertà. In quell’intervallo si misura la qualità della relazione: non obbedienza cieca, ma responsabilità viva. Il tempo dell’attesa diventa così il luogo in cui impariamo a prenderci cura, a far crescere ciò che ci è stato consegnato. La vigilanza, allora, non è un’attesa passiva ma un agire fedele. È il contrario dell’indifferenza e dell’abbandono. Vegliare significa custodire la vita con amore e competenza, come chi sa che tutto ciò che ha non è possesso, ma dono da restituire. Nel linguaggio ignaziano, questo è lo stile del discepolo “indifferente” nel senso più alto: colui che sa di non possedere nulla, ma di essere amministratore di tutto. Le relazioni, il lavoro, i talenti, il tempo, persino la fede, tutto ci è affidato, non dato in proprietà. Vivere così significa abitare la realtà con libertà interiore, senza paura di perdere e senza bisogno di trattenere. È la logica ignaziana: ogni cosa trova il suo senso solo se orientata al fine per cui è stata data, cioè servire la vita e l’amore di Dio. Il portiere della parabola rappresenta quella parte di noi che rimane sveglia, anche quando il resto è distratto o stanco. È la coscienza vigile, il centro interiore che ricorda ciò che conta davvero. Tutti abbiamo un “portiere” dentro: è la voce della memoria spirituale, quella che ci richiama al compito ricevuto e ci mantiene aperti all’incontro con il Signore che tornerà. Vegliare, dunque, non è solo aspettare Dio, ma custodire ciò che è suo. È amare nel concreto, continuando a operare anche quando non si sente la sua presenza, nella fiducia che ogni gesto di cura, ogni fedeltà nascosta, ogni piccola responsabilità vissuta con amore è già parte del suo ritorno. Perché Dio si fida di noi molto più di quanto noi ci fidiamo di Lui e il modo più vero di onorare questa fiducia è prenderci cura della casa che ci ha affidato.
Gesù descrive un padrone che parte senza timore e senza trattenere nulla. Affida la sua casa, distribuisce compiti, consegna potere e responsabilità. Non installa sistemi di controllo, non lascia ordini rigidi, non pretende garanzie: si fida. È un’immagine sorprendente di Dio, che non domina ma affida, che non sorveglia ma si consegna alla libertà dell’uomo. Questo gesto, apparentemente rischioso, rivela la stima che Dio ha per noi: Egli crede che possiamo custodire la vita, i fratelli, il mondo. È la fiducia del Creatore che affida la sua creazione a mani umane, perché diventi luogo di fecondità e non di paura. Il padrone che parte non è assente: la sua distanza è lo spazio della nostra libertà. In quell’intervallo si misura la qualità della relazione: non obbedienza cieca, ma responsabilità viva. Il tempo dell’attesa diventa così il luogo in cui impariamo a prenderci cura, a far crescere ciò che ci è stato consegnato. La vigilanza, allora, non è un’attesa passiva ma un agire fedele. È il contrario dell’indifferenza e dell’abbandono. Vegliare significa custodire la vita con amore e competenza, come chi sa che tutto ciò che ha non è possesso, ma dono da restituire. Nel linguaggio ignaziano, questo è lo stile del discepolo “indifferente” nel senso più alto: colui che sa di non possedere nulla, ma di essere amministratore di tutto. Le relazioni, il lavoro, i talenti, il tempo, persino la fede, tutto ci è affidato, non dato in proprietà. Vivere così significa abitare la realtà con libertà interiore, senza paura di perdere e senza bisogno di trattenere. È la logica ignaziana: ogni cosa trova il suo senso solo se orientata al fine per cui è stata data, cioè servire la vita e l’amore di Dio. Il portiere della parabola rappresenta quella parte di noi che rimane sveglia, anche quando il resto è distratto o stanco. È la coscienza vigile, il centro interiore che ricorda ciò che conta davvero. Tutti abbiamo un “portiere” dentro: è la voce della memoria spirituale, quella che ci richiama al compito ricevuto e ci mantiene aperti all’incontro con il Signore che tornerà. Vegliare, dunque, non è solo aspettare Dio, ma custodire ciò che è suo. È amare nel concreto, continuando a operare anche quando non si sente la sua presenza, nella fiducia che ogni gesto di cura, ogni fedeltà nascosta, ogni piccola responsabilità vissuta con amore è già parte del suo ritorno. Perché Dio si fida di noi molto più di quanto noi ci fidiamo di Lui e il modo più vero di onorare questa fiducia è prenderci cura della casa che ci ha affidato.
- Sto nella scena biblica e mi chiedo: quale bene affidatomi oggi rischia di essere lasciato senza cura, e come posso ridargli attenzione e passione?
3. «Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà… se giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!» (Mc 13,35-37).
Note
Gesù ripete più volte lo stesso verbo: vegliate. È come un ritornello che non vuole spaventare, ma risvegliare. La sua preoccupazione non è che i discepoli conoscano il momento del ritorno, ma che non smarriscano la capacità di attenderlo con il cuore sveglio. Il sonno di cui parla non è quello del corpo, ma quello dello spirito: la perdita del desiderio, disinteresse per la vita, il vivere come se nulla avesse più davvero senso. È quel torpore che si insinua quando la vita diventa abitudine, quando si sopravvive invece di vivere. Gesù sa che il rischio più grande per chi lo segue non è la fatica, ma l’assuefazione. Si può restare “vicini” a Lui e tuttavia addormentarsi, vivere una fede stanca, fatta di gesti ripetuti e di parole svuotate di passione. La veglia evangelica, invece, è uno stato dell’anima che mantiene viva la fiamma del desiderio, anche nelle notti più lunghe. Non è un’attesa agitata o impaurita, ma una presenza attenta, capace di accorgersi di ciò che accade, di chi passa, di chi ha bisogno.
Ogni ora del giorno diventa simbolo dei tempi della vita: la stanchezza, l’oscurità, la prova, la rinascita. Dio può tornare in ognuno di questi momenti, quando meno ce lo aspettiamo. Per questo la vigilanza non è una postura momentanea, ma uno stile di vita: vivere ogni istante come un possibile incontro. Ogni giornata è una soglia sottile tra il già e il non ancora, tra la presenza e l’attesa. Vegliare significa attraversarla con consapevolezza, senza lasciare che il tempo passi invano. Nella prospettiva ignaziana, la veglia prende la forma concreta dell’esame di coscienza, quel tempo quotidiano in cui si impara a leggere la giornata per riconoscere dove il Signore è passato e dove invece si è restati addormentati. È un esercizio di libertà interiore, non di colpa: non per giudicarsi, ma per restare vivi. Ignazio insegna che l’attenzione spirituale nasce dalla gratitudine e conduce all’amore concreto: solo chi ringrazia resta desto. La vigilanza, dunque, non è un dovere imposto, ma una scelta d’amore. È la decisione di non lasciarsi vivere, ma di vivere da svegli; di non perdere il volto amato che viene a visitarci nei mille volti del quotidiano. Vegliare è custodire l’attesa come un fuoco che non si spegne, anche quando la notte sembra lunga: perché chi rimane sveglio, anche nel buio, prepara già il nuovo giorno.
Gesù ripete più volte lo stesso verbo: vegliate. È come un ritornello che non vuole spaventare, ma risvegliare. La sua preoccupazione non è che i discepoli conoscano il momento del ritorno, ma che non smarriscano la capacità di attenderlo con il cuore sveglio. Il sonno di cui parla non è quello del corpo, ma quello dello spirito: la perdita del desiderio, disinteresse per la vita, il vivere come se nulla avesse più davvero senso. È quel torpore che si insinua quando la vita diventa abitudine, quando si sopravvive invece di vivere. Gesù sa che il rischio più grande per chi lo segue non è la fatica, ma l’assuefazione. Si può restare “vicini” a Lui e tuttavia addormentarsi, vivere una fede stanca, fatta di gesti ripetuti e di parole svuotate di passione. La veglia evangelica, invece, è uno stato dell’anima che mantiene viva la fiamma del desiderio, anche nelle notti più lunghe. Non è un’attesa agitata o impaurita, ma una presenza attenta, capace di accorgersi di ciò che accade, di chi passa, di chi ha bisogno.
Ogni ora del giorno diventa simbolo dei tempi della vita: la stanchezza, l’oscurità, la prova, la rinascita. Dio può tornare in ognuno di questi momenti, quando meno ce lo aspettiamo. Per questo la vigilanza non è una postura momentanea, ma uno stile di vita: vivere ogni istante come un possibile incontro. Ogni giornata è una soglia sottile tra il già e il non ancora, tra la presenza e l’attesa. Vegliare significa attraversarla con consapevolezza, senza lasciare che il tempo passi invano. Nella prospettiva ignaziana, la veglia prende la forma concreta dell’esame di coscienza, quel tempo quotidiano in cui si impara a leggere la giornata per riconoscere dove il Signore è passato e dove invece si è restati addormentati. È un esercizio di libertà interiore, non di colpa: non per giudicarsi, ma per restare vivi. Ignazio insegna che l’attenzione spirituale nasce dalla gratitudine e conduce all’amore concreto: solo chi ringrazia resta desto. La vigilanza, dunque, non è un dovere imposto, ma una scelta d’amore. È la decisione di non lasciarsi vivere, ma di vivere da svegli; di non perdere il volto amato che viene a visitarci nei mille volti del quotidiano. Vegliare è custodire l’attesa come un fuoco che non si spegne, anche quando la notte sembra lunga: perché chi rimane sveglio, anche nel buio, prepara già il nuovo giorno.
- Sto nella scena biblica e mi chiedo: in quale ambito della mia vita rischio oggi di vivere con il pilota automatico, e come posso riaprire gli occhi del cuore?
Il Colloquio: "Termino (la meditazione) immaginando Cristo, nostro Signore, davanti a me" (dagli Esercizi Spirituali)
Il punto più alto di tutta la meditazione è quello di parlare e dialogare direttamente con Gesù. Quindi...
...metto ora da parte la Scrittura e parlo con Lui, a tu per tu, come “un amico parla a un altro amico”. Riprendo, "secondo quello che sentirò in me", ciò che è nato in questa preghiera: sentimenti, ricordi, nuove consapevolezze, desideri, grazie ricevute o da chiedere, cioè riprendo ciò che ho vissuto mentre dialogavo con la sua Parola. Porto nel colloquio con Dio anche la mia esperienza della “Richiesta di grazia” che ha orientato tutta la preghiera e che ho fatto all'inizio di questo tempo di preghiera: mi sento di averne ora maggiore chiarezza? Non ne ho fatto particolare esperienza in questo tempo? In generale mi chiedo davanti a Lui: “Con questo momento di preghiera, con questo passo biblico, a cosa sento che Dio mi chiami?”. Porto questa chiamata concreta davanti a Lui, presentando la mia disponibilità o la mia fatica, e chiedendo la grazia di viverla nella vita di ogni giorno.
Il punto più alto di tutta la meditazione è quello di parlare e dialogare direttamente con Gesù. Quindi...
...metto ora da parte la Scrittura e parlo con Lui, a tu per tu, come “un amico parla a un altro amico”. Riprendo, "secondo quello che sentirò in me", ciò che è nato in questa preghiera: sentimenti, ricordi, nuove consapevolezze, desideri, grazie ricevute o da chiedere, cioè riprendo ciò che ho vissuto mentre dialogavo con la sua Parola. Porto nel colloquio con Dio anche la mia esperienza della “Richiesta di grazia” che ha orientato tutta la preghiera e che ho fatto all'inizio di questo tempo di preghiera: mi sento di averne ora maggiore chiarezza? Non ne ho fatto particolare esperienza in questo tempo? In generale mi chiedo davanti a Lui: “Con questo momento di preghiera, con questo passo biblico, a cosa sento che Dio mi chiami?”. Porto questa chiamata concreta davanti a Lui, presentando la mia disponibilità o la mia fatica, e chiedendo la grazia di viverla nella vita di ogni giorno.
Preghiera conclusiva
Recito con gratitudine un Padre nostro oppure un’altra preghiera che in questo momento esprima meglio il mio dialogo con il Signore.
Recito con gratitudine un Padre nostro oppure un’altra preghiera che in questo momento esprima meglio il mio dialogo con il Signore.
Rilettura della preghiera (da fare per iscritto)
Terminato l’esercizio, mi concedo un momento di pausa prima di rileggere interiormente ciò che è accaduto nella preghiera.
Seduto o camminando, dedico ancora qualche minuto a verificare “come è andata”: se ho seguito il metodo, quali frutti spirituali ho ricevuto, quali intuizioni o inviti al cambiamento sono emersi riguardo al mio modo di parlare, agli atteggiamenti verso me stesso e verso gli altri, alle decisioni da prendere e agli ambiti concreti in cui agire. Quali appelli la Parola ha provocato in me? L’esperienza vissuta è un dono di Dio attraverso la sua Parola e comporta per me una responsabilità: ora che ho riconosciuto i punti su cui è necessario che io lavori e che mi servono per un passo verso la vita piena, ne sono custode e responsabile. Sapendo che la vita cresce e si trasforma con decisioni reali e non solo con buone intenzioni, annoto i punti principali su un foglio come piste operative da attuare nella giornata e nel prossimo periodo. Per tale motivo è utile tenere con sé un “Diario di bordo” per l’intero percorso.
Terminato l’esercizio, mi concedo un momento di pausa prima di rileggere interiormente ciò che è accaduto nella preghiera.
Seduto o camminando, dedico ancora qualche minuto a verificare “come è andata”: se ho seguito il metodo, quali frutti spirituali ho ricevuto, quali intuizioni o inviti al cambiamento sono emersi riguardo al mio modo di parlare, agli atteggiamenti verso me stesso e verso gli altri, alle decisioni da prendere e agli ambiti concreti in cui agire. Quali appelli la Parola ha provocato in me? L’esperienza vissuta è un dono di Dio attraverso la sua Parola e comporta per me una responsabilità: ora che ho riconosciuto i punti su cui è necessario che io lavori e che mi servono per un passo verso la vita piena, ne sono custode e responsabile. Sapendo che la vita cresce e si trasforma con decisioni reali e non solo con buone intenzioni, annoto i punti principali su un foglio come piste operative da attuare nella giornata e nel prossimo periodo. Per tale motivo è utile tenere con sé un “Diario di bordo” per l’intero percorso.
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Un ulteriore brano su cui sostare nel corso della settimana
Nei giorni successivi, può servire come spunto per approfondire e ampliare il tema specifico proposto in questa scheda, applicando sempre lo stesso schema di preghiera usato per il testo principale (anche se con un commento specifico meno ampio). Mc 14,32-42. Vegliate e pregate
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